Il Messaggero, 14 settembre 2017
«Nom de plume», mania d’autore
Nell’autunno del 1813, dopo il successo ottenuto con Ragione e sentimento e Orgoglio e pregiudizio apparsi entrambi a firma di una misteriosa Lady Jane Austen confidava in una lettera al fratello Francis: «Sapevo bene a cosa mi esponevo, a suo tempo, ma la verità è che il segreto è così diffuso da essere a malapena l’ombra di un segreto, cosicché credo che, quando e se il terzo romanzo apparirà, non ci proverò neanche a dire bugie. Cercherò piuttosto di trarne, invece che tutto il mistero, tutto il denaro che posso». Negli ambienti letterari londinesi e a corte l’identità di questa schiva signorina di provincia era, in effetti, nota. Ma solo all’inizio del 1818 i lettori furono messi al corrente dell’identità della scrittrice. Svelata in una nota introduttiva a Persuasione e L’abbazia di Northanger, vicende apparse postume e riunite in un unico volume.
LA PSICOLOGIA
Se molte narratrici nell’Inghilterra di inizio Ottocento o durante l’intero periodo vittoriano decisero di celare il proprio nome per motivi di ordine sociale, quali sono le ragioni che hanno spinto decine di loro colleghi, a partire almeno dal XVII secolo, a scegliere di firmarsi con pseudonimi? Alla domanda offre convincenti risposte il critico Mario Baudino nel suo saggio Lei non sa chi sono io (Bompiani, pagine 236, 14 euro), magnifica ricostruzione dei processi psicologici all’origine di una scelta che accomuna, tra gli altri, Carlo Collodi, Alberto Moravia, Joseph Conrad, Voltaire, Stendhal e molti altri europei.
Un caso esemplare, sottolinea Baudino, è quello di Romain Gary, popolarissimo nella Francia del secondo dopoguerra, vincitore di un Goncourt nel 1956 e capace di replicare il successo nel 1975 sotto mentite spoglie visto che La vita davanti a sé era opera di tal Émile Ajar, «immaginario giovane arrabbiato che viveva in Brasile per via di certi conti irrisolti con la giustizia». Anche Romain Gary, morto suicida nel 1980, era un nome inventato: era nato in Lituania, cittadino della République dal 1935, risultava come Roman Kacew all’anagrafe della terra d’origine ed era un maestro insuperabile nel gioco del romanzo totale dove, spiega il critico, «l’autore stesso diventa un personaggio letterario, in una fuga di specchi».
BALLO IN MASCHERA
Tra i modelli di Gary c’era Stendhal, che fece della sua esistenza una frenetica proliferazione di nom de plume. Venuto al mondo come Henri Beyle, usò circa trecentocinquanta identità diverse, il doppio di quelle di Voltaire, a lungo in questo campo uno dei più prolifici. Sono migliaia gli uomini e le donne che hanno partecipato all’insolito ballo in maschera. Suscitando, ovviamente, la curiosità degli studiosi. I motivi all’origine della decisione di celarsi dietro un nom de plume, chiosa Baudino, possono essere così riassunti: «La differenza tra chi lascia intuire un volto, chi dimentica ogni tanto di coprirlo e chi si prepara uno scudo è piuttosto importante quando si affronta la grande foresta degli pseudonimi. La maschera può proteggere l’anonimato, oppure diventare lo strumento per un gioco di illusioni».
Se nell’Italia curiosa e pettegola di oggi il caso esemplare della prima circostanza è senza dubbio quello di Elena Ferrante, maestro della seconda, almeno in epoca contemporanea, è l’ineffabile Georges Simenon, che firmò centonovanta romanzi ricorrendo a identità diverse e duecentouno con il proprio nome. È invece riuscita a restare nell’ombra solo per poco J. K. Rowling che, terminata la saga del maghetto, si era misurata con il genere giallo inventandosi un alter ego: Robert Galbraith. Dopo il disvelamento gli ordini sul sito di Amazon si sono impennati del cinquecento per cento.
L’elenco di chi ha scelto la maschera è lunghissimo, anche a limitarsi solo ai classici moderni: si va dal leggendario Pessoa, moltiplicatore seriale di eteronimi, agli americani Stephen King e Joyce Carol Oates, abili manipolatori di identità per puro piacere intellettuale. Numerosa anche la pattuglia italiana. Che comprende, tra gli altri, Sibilla Aleramo (per i registri dello stato civile Marta Felicina Faccio), Franco Fortini (Franco Lattes), Umberto Saba (Umberto Pioli) e Svevo, al secolo Ettore Schmitz.
LA STRATEGIA
Quanto alla misteriosa Elena Ferrante, anche nelle ultime settimane oggetto di accuratissime indagini con l’ausilio di programmi informatici, la scelta di celarsi segna il trionfo di una strategia capace, almeno per ora, di resistere ad ogni analisi filologica. Ispirata, forse, dalla lettura di Jane Austen. Visto che Ferrante, introducendo un’edizione inglese di Ragione e sentimento, afferma: «La circostanza che Jane Austen abbia pubblicato anonimamente mi fece una grande impressione già da quando avevo quindi anni». Quindi conclude: «Da quel momento non solo amai tutto quanto aveva scritto, ma mi entusiasmai proprio per il suo anonimato».