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 2017  settembre 14 Giovedì calendario

La grande finanza contro i bitcoin. «Una bolla che dovrà scoppiare»

ROMA E se quelle monete così strane fossero in realtà tulipani? Allora sì che sarebbero guai. Sui bitcoin, la criptovaluta più diffusa (e discussa) al mondo, il gran capo di JpMorgan Jamie Dimon la pensa proprio così: «Una frode destinata a fare una brutta fine», ha scandito. «Una bolla peggiore di quella dei tulipani». Riferimento alla speculazione sui prezzi dei bulbi nell’Olanda del ‘600, gonfiati e poi collassati, archetipo di tutti i successivi bubboni finanziari. Profezia da guru della finanza, certo, ma che prudenza suggerisce di prendere sul serio. Specie perché sulla stessa linea, a distanza di poche ore, si è espresso pure un altro vate degli investimenti, l’ex capo di Pimco Mohamed El-Erian. Il prezzo giusto per il bitcoin? Non certo i fantasmagorici 5.000 dollari che la moneta virtuale ha toccato il 2 settembre, ma nemmeno i 3.800 a cui è precipitata ieri, perdendo in un giorno oltre il 10%: invece «la metà, se non un terzo».
Da che pulpito vien la predica, verrebbe da obiettare, visto che la “vecchia” finanza, quella in cui i due da anni sguazzano e guadagnano, di monete ne ha affossate parecchie, in primis la lira. E di bolle ne ha prodotte in serie, l’ultima dieci anni fa. Ne paghiamo ancora le conseguenze. Tant’è: d’improvviso quella finanza vede nel bitcoin, che nel complesso capitalizza appena 65 miliardi di dollari, una goccia nei flussi planetari di capitali, la madre di tutte le speculazioni. Così come la Cina, principale mercato del bitcoin, che dopo aver vietato il lancio di nuove monete digitali, le cosiddette Offerte iniziali, starebbe ora ipotizzando di chiudere pure gli”exchange”, i siti dove le queste valute possono essere comprate o liquidate in cambio di altre, più tradizionali, divise. Tutto per difendere la stabilità del suo sistema finanziario, drogato da un debito pubblico fuori controllo e anni di credito facile. Che sia rischioso scommettere su un bene così giovane, così poco liquido e così esposto alle scelte dei governi è fuori dubbio. Gli avvocati difensori del bitcoin assicurano che l’offerta limitata di monete – non ne verranno create oltre un certo numero – sarà un freno alla volatilità. Ma le montagne russe del prezzo, meno 15% in 10 giorni dopo essersi moltiplicato per quattro da inizio anno, raccontano una storia diversa. Come è un fatto che ad oggi il bitcoin non abbia sfondato come strumento di scambio, la vocazione originaria nella mente dei suoi anonimi creatori, ma si sia piuttosto trasformato in un asset di investimento, al pari dell’oro, un bond o un titolo derivato. «Il prezzo attuale assume una adozione di massa, che non credo arriverà», ha detto El-Erian. Roba da trafficanti o da nordcoreani, ha sintetizzato Dimon.
Ma, speculazione e prezzi a parte, è la tecnologia che anima gli scambi, la blockchain, la grande novità del bitcoin: un archivio contabile decentrato che permette di trasferire valori tra estranei senza un’autorità centrale di controllo. Su questa novità, che tra le altre cose promette di tagliare drasticamente i costi delle transazioni finanziarie, tutte le grandi banche mondiali stanno lavorando. Compresa, guarda un po’, la Jp-Morgan di Dimon. Il primo a sapere che anche dietro a una bolla potrebbe nascondersi una vera ricchezza.