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 2017  settembre 14 Giovedì calendario

Russia assolta per il doping di Stato Wada si arrende: «Prove insufficienti»

Finirà tutto in una bolla di sapone? A considerare le rivelazioni del New York Times sembrerebbe proprio di sì. Il grande scandalo doping russo prima dei Giochi di Rio, quello che aveva messo fuori dalle Olimpiadi quasi tutto lo sport ex sovietico, rischia di finire nel nulla di fatto, nonostante la lunga e documentata inchiesta della commissione McLaren. La Wada, l’agenzia mondiale antidoping avrebbe deciso di assolvere ben 95 dei primi 96 casi esaminati riguardanti il doping sistematico degli atleti di alto livello messo in piedi dalla Russia. «Prove insufficienti», spiega Olivier Niggli, direttore generale dell’agenzia.
Lo sport proprio non riesce a ripulire e a ripulirsi. E i dubbi sull’efficienza di un sistema di controllo chiaramente autoreferente si ingigantiscono. Ha prevalso l’abilità del “sistema” russo nel nascondere o distruggere le prove, oppure l’atteggiamento non molto aggressivo degli investigatori? Probabilmente non lo sapremo mai. Resta il fatto che due anni di inchiesta e almeno un migliaio di atleti coinvolti in quello che è stato definito come il più moderno doping di stato, attuato dalla Russia, rischiano di finire nel nulla. E anche in questo caso chiarezza e trasparenza lasciano molto a desiderare. Infatti nulla si sa degli atleti finora assolti. La Wada mantiene una riservatezza assoluta. Richard McLaren, l’esperto investigatore a capo di una commissione che dal 2015 ha scavato nel tumore russo del doping organizzato a sistema, allarga le braccia e mette le mani avanti. «In molti casi sarà difficile arrivare a una sanzione» ammette.
Il presidente Putin aveva negato da subito ci fosse un vero e proprio doping di stato, rispolverando toni da guerra fredda. Ma le cronache raccontano come, ad esempio, a Sochi, i Giochi invernali 2014, gli stessi servizi segreti russi avessero approntato un laboratorio fantasma accanto a quello ufficiale antidoping. E, secondo quanto riportato da molti “media”, attraverso un buco nel muro i campioni degli atleti russi venivano fatti passare, aperti, manipolati e richiusi per risultare puliti. Un sistema – secondo McLaren – controllato, diretto e supervisionato dal ministero stesso dello Sport russo guidato da Vitaly Mutko. Un sistema che non riguardava solo l’atletica.
Inoltre la prassi di distruggere le provette potenzialmente positive, o di contaminarle in modo da rendere impossibili le analisi, ha complicato di molto il lavoro della commissione. Che, dal canto suo, non avrebbe brillato per iniziativa. Lo scandalo era nato dalle confessioni della mezzofondista russa Yulia Stepanova, confermate e ampliate poi dall’ex direttore del laboratorio antidoping russo Grigory Rodchenkov, oggi rifugiato negli Usa perché, dopo le rivelazioni, teme per la propria vita. Ma la Wada non è riuscita ad ottenere neppure un breve colloquio con lui.
Insomma quello che era stato definito come «un attacco senza precedenti all’integrità dello sport», un sistema che, secondo il professore canadese, si è andato raffinando nel corso degli anni, rischia di cadere nel vuoto.
«Lo scopo del rapporto McLaren – spiega ora Olivier Niggli – era quello di svelare il sistema doping, non le singole violazioni individuali». Restano ancora parecchie centinaia di casi da valutare dei circa 1000 individuati nell’inchiesta. Ma l’atteggiamento della Wada sembra quello di chi vede solo negativo. Insomma, un brutto film giallo ma senza colpevoli. I russi hanno accolto le rivelazioni con scontato favore. «Le informazioni del rapporto erano incomplete e in alcuni casi addirittura false – spiega Stanislav Posdniakov, vice presidente del comitato olimpico russo – ecco perché è impossibile attribuire responsabilità individuali». Certo, provette distrutte, omertà assoluta, scarsa collaborazione, indagini soft. Risultato: quello che è stato è stato. Amen. Se servivano prove ulteriori di come lo sport che controlla se stesso non possa funzionare, sono state servite.