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 2017  settembre 14 Giovedì calendario

Juncker vuole una super-Ue e cerca nuovi Stati membri

STRASBURGO Jean-Claude Juncker al momento delle repliche taglia corto: «Ho la sciatica». E se ne va. Il presidente della Commissione ha dormito solo due ore. Dopo anni passati in difesa tra crisi, Brexit e rischio populismo il suo discorso sullo Stato dell’Unione 2017 – per la tensione limato fino all’alba – può ambire al rilancio. «Il vento è tornato nelle nostre vele», dice di fronte all’Europarlamento riunito a Strasburgo. Per il lussemburghese l’Unione del futuro dovrà correre ad una sola velocità, con un super presidente Ue e un ministro di un’eurozona a Ventisette. Un piano studiato per tenere tutti uniti e per sanare la frattura Est-Ovest ma che potrebbe essere stravolto dai governi. Quanto meno mira ad essere il punto di partenza delle discussioni tra leader con un orizzonte temporale di 18 mesi: l’Europa di Juncker sarà sul tavolo dei capi di Stato e di governo la sera del 27 settembre a Tallinn, con le discussioni che – in un modo o nell’altro – dovranno lanciare la nuova Europa il 30 marzo 2019 con un Consiglio europeo straordinario a Sibiu, in Romania. Data simbolica, otto settimane prima delle elezioni europee e soprattutto primo giorno in cui la Brexit si sarà concretamente consumata («momento tragico, Londra lo rimpiangerà»).
Per Juncker con l’Unione «al quinto anno di crescita» e «con un Pil pari a quello degli Usa» è arrivato il momento di lanciare le attese riforme istituzionali. Partendo dall’economia propone di creare un super ministro del Tesoro. Un “Mr Euro”, vicepresidente della Commissione e presidente dell’Eurogruppo, che risponderà del suo operato all’Europarlamento. Comanderà anche il Fondo salva stati che nel frattempo sarà trasformato in un Fondo monetario europeo con una potenza di fuoco di 500 miliardi: serviranno a finanziare riforme e investimenti nazionali e ad aiutare i governi nei tempi di crisi. Juncker immagina un’Europa in cui tutti siano nell’euro, in Schengen e nell’Unione bancaria e per invogliare chi ora è fuori prevede che il Fondo finanzi i paesi che vogliano accedervi. Una riforma dell’eurozona dalla sensibilità franco-italiana che si scontrerà con quella tedesca: anche Berlino vuole un ministro e un Fondo Ue, ma meno spendaccioni e con poteri più intrusivi nelle manovre nazionali.
Juncker, consapevole che alla fine saranno i leader a decidere, ha passato ore al telefono con Merkel e Macron. Ha deciso di lanciare il suo piano prima delle elezioni tedesche per evitare che a voto consumato Berlino detti le condizioni insieme a Parigi tagliando fuori Bruxelles. La ricetta del lussemburghese è un mix di pragmatismo ed europeismo vero. Non punta a cambiare i trattati, ma per migliorare il funzionamento della Ue, storicamente bloccata dal diritto di veto dei governi, propone di attivare le passerelle previste dal Trattato di Lisbona: con il voto unanime dei leader portare a maggioranza le materie oggi decise all’unanimità come politica estera, difesa, fisco, antiterrorismo e giustizia. Una sfida difficile che dopo l’addio dei guastatori britannici a Bruxelles pensano di poter vincere lavorando ai fianchi i paesi contrari su ogni singola materia. Infine l’idea di un presidente unico della Commissione e del Consiglio europeo, figura capace di dettare l’agenda politica e sferzare i leader sui dossier più controversi ma anche in grado di oscurarli e per questo difficile da far passare. Si vedrà, ma preso nel suo insieme il piano è un ultimo tentativo di tenere uniti i Ventisette e rilanciare l’Europa arginando il metodo intergovernativo e le doppie velocità, unica alternativa già contemplata da Francia, Germania e Italia. Sul tavolo Juncker ha messo anche la normale agenda di Bruxelles da qui a fine legislatura (2019). Per il presidente della Commissione «nel Mediterraneo l’Italia ha salvato l’onore dell’Europa», ma non basta. E allora è necessario «fermare lo scandalo delle condizioni nei campi in Libia» e «aprire vie legali» per far arrivare i migranti nella Ue. A fine settembre Bruxelles proporrà una vera politica dei rimpatri con soldi Ue ai paesi di origine: così Bruxelles pensa di far accettare la riforma di Dublino ai paesi dell’Est e all’Austria, il testo che prevede un nuovo meccanismo di ripartizione tra partner Ue dei richiedenti asilo in caso di flussi eccezionali. Ci sono lo scudo contro le scalate cinesi, gli accordi di libero scambio con Australia e Nuova Zelanda, l’istituzione di un’Agenzia Ue sul lavoro per mettere fine agli attriti tra Est ed Ovest sulla circolazione della manodopera, il lancio di un’Agenzia per la cyber sicurezza, un procuratore unico contro il terrorismo e una sorta di Cia europea per lo scambio di intelligence. Non a caso Juncker per più di un’ora spiega i suoi piani in francese e tedesco: all’inglese lascia pochi passaggi, nella speranza che con l’addio di Londra l’Unione sappia pacificarsi e ripartire.