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 2017  settembre 13 Mercoledì calendario

Il Don Chisciotte delle Fs: il piano dell’Ad per andare in Borsa. Contro tutto e tutti

Mazzoncini contro il resto del mondo. Sulla quotazione dei treni in Borsa il dinamico amministratore delle Ferrovie, Renato Mazzoncini, sta giocando una partita all’attacco e senza alleati, proprio nell’inquieta stagione prima delle elezioni di primavera. Volitivo come sempre sta sfidando tutti: in prima linea i sindacati che contro il suo progetto si sono ritrovati uniti in un amen. E poi mezzo governo, a cominciare dal prudente Graziano Delrio, responsabile dei Trasporti, che prima della pausa d’agosto ha fatto intendere a Mazzoncini che non era il caso di accelerare con la privatizzazione, anzi, forse era meglio frenare. E pure il ministro del Tesoro, Pier Carlo Padoan, non è affatto entusiasta della smania di Mazzoncini per la Borsa.
Padoan è diventato scettico da quando gli hanno spiegato che il miliardo di euro che secondo le stime verrebbe incassato con la quotazione non transiterebbe verso il ministero, ma si fermerebbe prima, nei forzieri delle Fs “a disposizione per accrescere la competitività, soprattutto all’estero”, ha specificato Mazzoncini. Per le Fs e le aziende di Stato, Padoan sembra coltivare altri progetti, magari una holding sotto l’ala della Cassa Depositi e Prestiti che raggruppi le partecipazioni da vendere direttamente ai grandi investitori senza quotazioni in Borsa. Infine c’è il Pd che non ha alcuna intenzione di svenarsi per Mazzoncini sfidando a petto in fuori i sindacati, pronti a opporre ai piani borsistici dell’amministratore Fs una sventagliata di scioperi con conseguente paralisi dei treni proprio nei mesi prima del voto. Per procedere verso la Borsa, Mazzoncini avrebbe bisogno dell’intervento Pd che gli dovrebbe scodellare un nuovo decreto in sostituzione del precedente di fine 2015 che preparava la quotazione con presupposti completamente diversi. Ma date le premesse appare molto difficile che il Pd abbia voglia di accontentare il capo delle Fs.
Imperterrito Mazzoncini però va avanti. Il 4 settembre al meeting di Cernobbio ha riproposto pari pari la sua strategia e qualcuno ha pensato al famoso soldato giapponese nella giungla che combatteva la guerra da solo ignorando che era finita da un pezzo. Siccome però tutto si può dire dell’amministratore Fs tranne che sia un soldatino sprovveduto, c’è da chiedersi a che gioco stia giocando e quali sono i suoi veri obiettivi. Vista da questa angolazione la storia cambia verso ed è lecito supporre che l’ostinazione di Mazzoncini c’entri fino a un certo punto con i treni. Bresciano, classe 1968, relativamente giovane per le gerontocrazie pubbliche, prelevato da un’aziendina di trasporti fiorentina e spinto appena due anni fa al vertice del mastodonte Fs da Matteo Renzi, quando pensa al suo futuro Mazzoncini non vede solo i binari. Si sente ormai una risorsa della Repubblica e guarda al dopo voto, alle nomine future nelle grandi imprese pubbliche e ci tiene a presentarsi come il privatizzatore risoluto, anche contro le prudenze della politica. Scommette, insomma, Mazzoncini e la sua scommessa ha così tante variabili da risultare al momento non quotabile.
Il percorso da lui imboccato verso la Borsa è completamente diverso da quello autorizzato a suo tempo dal governo. Per Mazzoncini non va quotato il 40 per cento dell’intero gruppo tranne Rfi, la prosperosa rete dei binari che deve restare interamente pubblica, ma il 40 per cento delle Frecce (Rosse, Bianche e Argento) più gli Intercity, cioè i treni a lunga percorrenza, inclusi i notturni. Frecce e Intercity stanno nelle stesso cesto Fs come mele e pere: le Frecce guadagnano in un mercato dove ci sono anche altri concorrenti (i treni privati Italo); gli Intercity perdono e sono sussidiati dallo Stato, 80 milioni fino all’anno passato, 300 a partire dal 2017 e per 10 anni. Quattrini che potrebbero far gola agli investitori al pari degli utili delle Frecce. Oltre a Rfi fuori dalla quotazione resterebbero i treni regionali e i merci, in pratica le zavorre.
Il piano di Mazzoncini mette in discussione il tabù dei binari, cioè l’unitarietà del gruppo, mai toccata neanche ai tempi di Mauro Moretti e solo sfiorata nella breve stagione del presidente Marcello Messori e dell’amministratore Michele Mario Elia. Nel caso delle Ferrovie unitarietà significa solidarietà tra i vari rami dell’impresa, con i più forti tipo le Frecce che non si dimenticano dei meno solidi e li sostengono nei limiti del possibile. Affrontando alla fine dell’anno passato la questione della trasformazione della divisione Cargo nella società Mercitalia, Mazzoncini promise ai sindacati che in cambio del loro assenso non avrebbe mai toccato l’unitarietà del gruppo Fs. I sindacati si fidarono e Mercitalia è diventata una società che continua a perdere circa 140 milioni di euro l’anno e che al di fuori del perimetro Fs non starebbe in piedi cinque minuti. Ora i sindacati scoprono che la creazione di Mercitalia era l’antipasto di un piatto ancora più indigesto.
A distanza di pochi mesi, Mazzoncini ha cominciato a spacchettare anche il resto. Ovvio che i sindacati si sentano presi per il naso e che considerino la quotazione dei treni in stile Mazzoncini come un pugno in faccia. Sanno che per Frecce e Intercity l’ingresso in Borsa è come la promozione in serie A, ma sono anche consapevoli che per treni regionali e merci è la definitiva condanna alla serie Z, con conseguenze prevedibili e inaccettabili dal loro punto di vista: ristrutturazioni severe, licenziamenti, spazi ridotti per qualsiasi contrattazione migliorativa.