13 settembre 2017
APPUNTI SCUOLA PER METRO RIMINI
«Jeans e maglie con i buchi vietati? Troppi a scuola vestiti come in disco» -
Resteranno negli armadi i jeans con troppi buchi e le maglie stracciate. Guai a indossare anche canottiere, cappellini, berrette: si rischia (come per jeans e magliette troppo sdruciti) una nota, e anche un richiamo scritto per i più recidivi. E i ragazzi del ‘Leonardo da Vinci - Belluzzi’ dovranno farsene una ragione, nonostante il nuovo regolamento disciplinare adottato dalla scuola riminese stia già creando malumori e perplessità fra diversi studenti e genitori... Perché, piaccia o no, il regolamento è stato «approvato all’unanimità dal nostro consiglio di istituto, di cui fanno parte sia i rappresentanti dei genitori che dei ragazzi». Indietro non si torna: lo ribadiscono la preside della scuola superiore riminese, Sabina Fortunati, e anche Carmine Testa, il papà eletto presidente del consiglio d’istituto al ‘Leonardo da Vinci - Belluzzi’. «Non capisco tanto rumore alla vigilia dell’inizio della scuola – dice Testa – quando il regolamento dovrebbe essere noto a tutti da mesi, visto che è stato approvato il 6 giugno». Ci sono genitori, oltre che ragazzi, che ritengono troppo severi i divieti imposti. I jeans e le maglie con i buchi li portano ormai anche tanti adulti... «Anche mio figlio li ha, ovviamente, ma non gli permetto di indossarli per andare a scuola. La scuola non è una discoteca». Come si è arrivati a questo regolamento? «Su richiesta dei docenti. Che vedevano arrivare in classe sempre più ragazzi e ragazze con un abbigliamento non consono. La proposta, firmata da 200 insegnanti, è arrivata al consiglio d’istituto. Ne abbiamo discusso a lungo, e a giugno poi l’abbiamo messa ai voti. E’ stata approvata da tutti, anche dai ragazzi rappresentanti degli studenti». Ma c’era proprio bisogno di entrare così nei dettagli sul tipo di abbigliamento? «Abbiamo vietati alcuni vestiti. Nel regolamento abbiamo inserito anche il divieto dei pantaloni corti, ma lo correggeremo. Vanno bene i pantaloni corti, a patto che arrivano al ginocchio. No a bermuda da mare e ai calzoncini più corti». Deve ammettere che questo regolamento è piuttosto insolito? «A noi non sembra. Ci siamo limitati semplicemente a vietare l’abbigliamento indecoroso. La scuola è un luogo di cultura, e non - lo ripeto - una discoteca. Il ‘Leonardo da Vinci - Belluzzi’ è una scuola che ospita 1.400 ragazzi, si stanno facendo tante iniziative interessanti e finalmente da qualche anno abbiamo un dirigente di ruolo, con cui poter pianificare l’attività e la formazione. In fondo stiamo solo chiedendo ai ragazzi il rispetto dell’ambiente scolastico».
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«Poche decine i bambini che rifiutano i vaccini»
Risultano essere «poche decine», spiega l’assessore alla Pubblica istruzione Mattia Morolli, i bambini di età compresa tra i 3 e i 6 anni che ad oggi risultano “renitenti” all’effettuazione dei vaccini prescritti dalla legge, e le cui famiglie non hanno sottoscritto l’autocertificazione per garantire l’effettuazione degli stessi nei tempi programmati. Il dato è emerso dopo l’incontro tenutosi ieri tra l’amministrazione comunale e i responsabili scolastici di sei istituti comprensivi, programmato da tempo, in vista dell’inizio dell’anno scolastico, venerdì. «In ogni caso quel giorno tutti i bambini saranno accolti nelle strutture, nessuno verrà rimandato a casa», puntualizza Morolli. Ma l’indomani scatterà ovviamente la procedura che prevede, a livello nazionale, la sospensione della possibilità di frequentare la scuola materna per i piccoli non in regola con la programmazione vaccinale obbligatoria.
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Jeans strappati vietati alle superiori, ira di genitori e studenti
CHI LO SPIEGA ora a Sara che non potrà sfoggiare i nuovi jeans appena comprati per il primo giorno di scuola? Troppi buchi, troppa pelle in vista. D’ora in poi lei e gli altri studenti dell’istituto ‘Leonardo da Vinci - Belluzzi’ di Rimini non potranno più mettere piede in classe, con gli stessi vestiti con cui girano per fare le vasche in centro o uscire alla sera. Vietati i jeans strappati e le magliette stracciate o con i buchi. Una lezione di stile che anticipa le lezioni, quelle vere, che partono da venerdì. E chi non sta alle nuove regole rischia una nota o – in caso di ripetute violazioni – un richiamo scritto. REGOLE che hanno fatto storcere il naso a più di un genitore, oltre che a molti studenti dell’istituto tecnico riminese. Ma la scuola, nonostante le polemiche, non intende fare retromarcia. «La proposta delle nuove norme sull’abbigliamento è partita dai docenti ed è stata poi approvata all’unanimità dal consiglio d’istituto, di cui fanno parte anche i rappresentanti dei genitori e dei ragazzi», sottolinea la preside della scuola, Sabina Fortunati. E Carmine Testa, il papà di uno degli studenti e presidente del consiglio d’istituto, fatica a capire le polemiche. «Il nuovo regolamento disciplinare, con il quale sono state introdotte anche le norme che vietano un abbigliamento indecoroso, è stato votato all’unanimità a giugno». Come dire: né i ragazzi né altri papà e mamme non potevano sapere dei nuovi divieti. Che includono, oltre a jeans e magliette con i buchi, anche canottiere, berretti e cappellini, infradito e ciabatte. Salvi invece i pantaloncini corti, anche se compaiono tra gli indumenti messi all’indice nel regolamento. [QN11EVIBLU]«È STATO[/QN11EVIBLU] un errore, lo correggeremo. Ma i pantaloncini devono arrivare almeno al ginocchio». E non devono essere i bermuda da mare. Perché è vero che siamo a Rimini, ma non bisogna esagerare con il look da spiaggia... Cosa che invece stava avvenendo sempre di più, secondo i professori, nella scuola riminese. È stato proprio il collegio dei docenti, formato da 200 insegnanti (la scuola ospita 1.400 ragazzi) a proporre di vietare alcuni abbigliamenti giudicati inadeguati per l’ambiente scolastico. «Anche mio figlio, naturalmente, porta i jeans e le maglie con i buchi – dice ancora Testa –, ma io non gli permetto di indossarli per andare a scuola. La scuola non è una discoteca». IN FONDO non è la prima volta che le scuole riminesi impartiscono lezioni di stile ai loro studenti. Aveva fatto parlare non poco, nel 2003, la decisione dell’istituto per il turismo ‘Marco Polo’ di vietare alle ragazze di presentarsi in aula con l’ombelico scoperto. Da anni è impegnato in una crociata contro gli abiti degli studenti anche il liceo della comunicazione, gestito dalle Maestre pie. Anche qui non si entra con «indumenti stracciati, pantaloni a vita bassa, scollature eccessive, piercing». E la preside non esita a girare per le classi, per far togliere brillantini al naso o far coprire i tatuaggi. «Siamo a scuola, non in discoteca...».
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DALL’OMBELICO AI PIERCING, QUANTI DIVIETI TRA I BANCHI –
LA SCUOLA non è una discoteca», ripetono dall’istituto ‘Leonardo da Vinci - Belluzzi’, dopo i nuovi divieti imposti ai ragazzi. Quante volte l’abbiamo sentita a Rimini questa frase? Tante. In principio fu l’ombelico... Era il maggio del 2003, e all’istituto per il turismo ‘Marco Polo’, di fronte alle ragazze che scoprivano la pancia coi primi caldi, arrivò il diktat: «Vietato l’ombelico scoperto a scuola». Tradotto: no a quei jeans dalla vita troppo bassa, o alle magliette troppo corte. Una crociata (è il caso di dirlo) che porta avanti da anni il liceo della comunicazione di Rimini, gestito dalle Maestre Pie. Dove, nel 2013, la preside arrivò a girare nelle classi per chiedere a ragazzi e ragazze di togliere i piercing e coprire i tatuaggi durante le ore di scuola. I DIVIETI adottati al ‘Leonardo da Vinci – Belluzzi’ vanno ancora più nel dettaglio, stilando l’elenco di tutto quello che non si può indossare in classe: dai jeans strappati alle magliette con i buchi, dalle canottiere a cappellini e berrette. Ma come si comportano le altre scuole riminesi? Abbiano dato un’occhiata ai regolamenti d’istituto dei licei ‘Giulio Cesare - Valgimigli’, ‘Einstein’ e ‘Serpieri’, e degli istituti ‘Valturio’. Da nessuna parte si fa cenno all’abbigliamento. Non se ne trova più traccia nemmeno al ‘Marco Polo’, dove partì quattordici anni fa la battaglia contro le pance scoperte. Ci si limita a richiamare gli studenti a un comportamento decoroso e consono al luogo che la scuola rappresenta, ma senza entrare nei dettagli del look... D’ALTRA PARTE, come fa notare il il provveditore riminese Giuseppe Pedrielli, «il regolamento di ogni scuola è approvato dal consiglio di istituto, di cui fanno parte tutte le componenti scolastiche: i docenti, il personale non docente, i genitori, gli alunni». Ogni scuola insomma può fare il regolamento interno che ritiene opportuno. ma.spa.
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Nelle scuole di San Marino arrivano i totem, impossibile saltare le lezioni I genitori potranno accedere on line alle pagelle
NIENTE più possibilità di saltare le lezioni: nelle scuole medie e superiori di San Marino arrivano i ‘totem’ a controllare gli studenti attraverso un tesserino magnetico che dovrà essere passato sul visore, il quale registrerà l’ingresso all’interno dell’edificio e l’uscita. Ma non è finita. Tutto ciò che riguarda lo studente finirà on line, pagelle comprese – quindi scomparirà tutto il cartaceo – che saranno consultabili anche dai genitori, oltre a poter essere trasmesse da una scuola all’altra, seguendo così il ragazzo in tutta la sua vita scolastica. Questa è la cosiddetta anagrafe digitalizzata. Ma ci potrà essere la condivisione anche dei testi scolastici, mentre i genitori dei ragazzi potranno anche vedere quali sono i compiti che vengono assegnati ai ragazzi a casa. Quella che viene definita come una vera e propria rivoluzione in ambito educativo, è stata presentata ieri mattina ed è stato realizzato in circa quattro mesi con un investimento di circa 120mila euro. «Semplifica il rapporto tra le scuola e i genitori ma anche l’attività degli insegnanti e quella degli uffici amministrativi. Consideriamo importantissimo avere l’anagrafe degli studenti con tutti i loro dati», sottolinea il segretario all’Istruzione, Marco Podeschi. Il sistema non sarà completamente a regime già a partire da lunedì, giorno in cui ritorneranno sui banchi tutti gli studenti sammarinesi. Ma sicuramente sarà pienamente attivo il sistema per la registrazione della presenza dei ragazzi in classi, ma anche loro eventuali ritardi. «Eravamo in ritardo sull’evoluzione del nostro sistema scolastico, fattore assolutamente prioritario per la crescita di un Paese – fa notare Podeschi – per questo abbiamo accelerato su questo progetto. Un altro che metteremo in campo quanto prima è il miglioramento dei laboratori di informatica». Monica Raschi
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Alessandro Belardetti DOPO anni di annunci da parte di diversi ministri dell’Istruzione, l’attuale titolare del dicastero Valeria Fedeli (a destra, Newpress) ha mosso il primo passo ufficiale per fare entrare gli smartphone nelle aule scolastiche. Ha incaricato una commissione parlamentare di stilare le linee guida per promuovere i cellulari di ultima generazione a strumenti didattici. Sull’annuncio si è abbattuta una valanga di critiche. «SIAMO prossimi alla resa del sistema educativo – spiega lo psicoterapueta ed esperto di cyberbullismo Luca Pisano, direttore di Ifos –: la scuola tecnologica delega la funzione del pensare a un oggetto. Questa è la base per fabbricare cretini a scuola: con gli smartphone non si sviluppa l’apparato psichico. Il docente così si depotenzia: c’è già la lavagna didattica, a cosa serve il cellulare? Come farà poi il prof a controllare che gli studenti non giochino o vedano porno durante la lezione? Siamo passati dalla direttiva Fioroni del 2007 (in cui si vietava l’entrata dei cellulari nelle scuole, ndr) alla resa di oggi: sembra che la scuola, non avendo strumenti per impedire un abuso degli smartphone in classe, legalizzi il suo uso. La capacità di mantenere costante la concentrazione è decisiva per l’apprendimento, ma con gli smartphone gli alunni avranno decine di stimoli e la classe non sarà più gestibile». La ministra Fedeli si dice convinta che lo smartphone sia uno «strumento che facilita l’apprendimento». La prof Angela Biscaldi, docente dell’Università di Milano (che propose a una classe di liceo di Crema di stare sette giorni senza social e vide tagliare il traguardo solo da 3 studenti su 46) si ribella a questa tesi: «Nessuno strumento migliora magicamente l’apprendimento, servono professori motivati. La letteratura negli altri Paesi dimostra che gli smartphone nelle aule producono un abbassamento dei voti. In Inghilterra infatti li stanno togliendo. Uno studio ha stabilito che la sola presenza del cellulare sul banco distrae lo studente, peggiora la sua attenzione. Continuare a introdurre strumenti digitali quando i bagni sono fatiscenti, le aule sono sporche e mancano i prof, è assurdo. Si rischia l’addio alla scrittura? Certamente, molte maestre d’asilo mi dicono che i bambini non sanno più allacciarsi le scarpe, non riescono ad avvolgere il filo in un rocchetto: stanno perdendo la motricità, l’attenzione e la memoria peggiorano, la vista viene danneggiata. Il rischio di avere dementi digitali è alto: gli adolescenti nativi digitali perdono empatia, compiono cyberbullismo e non collaborano con l’altro. Essere multitasking non è positivo, anzi è dannoso per i processi della memoria e sfavorisce l’utilizzo delle connessioni neurali della ricerca». OLTRE alla questione soldi («sarebbe una spesa pubblica insostenibile comprare cellulari per tutti», dice Pisano) c’è la questione dei limiti legali. «I rischi per la salute dall’esposizione alle reti wi-fi non sono ancora chiari – spiega l’avvocato Massimo Simbula, legale dell’Osservatorio cybercrime Sardegna – e il ministro potrebbe evitare di esporre gli studenti a queste incognite. Tre importanti sentenze hanno poi correlato l’abuso di smartphone all’insorgenza di tumori. Si rischia una marea di cause da parte dei genitori contro i prof per insorgenza di problemi fisici nei figli. Esistono, inoltre, gravi ripercussioni sulla privacy e rischi di un eventuale aumento del cyberbullismo».