Libero, 11 settembre 2017
«Salvini vuole cambiare l’Europa? Anch’ io... ». Intervista a Antonio Tajani
Antonio Tajani, presidente del parlamento europeo, è il padrone di casa dell’evento che venerdì inizia a Fiuggi. Tre giorni di incontri sui problemi del continente. Molti ospiti politici, targati Forza Italia o partito popolare europeo, ma anche i vertici delle principali associazioni d’impresa, a partire da Confindustria. Di solito, queste cose succedono quando uno inizia a profumare di vittoria.
Non ha l’impressione che stavolta su Fiuggi e su chi lo organizza ci siano grosse aspettative?
«A Fiuggi c’è sempre stato grande entusiasmo e purtroppo adesso c’è molto interesse per chi discute di problemi come immigrazione, terrorismo e crisi economica. Certo, assistiamo anche a una ripresa della nostra area politica».
Ci sarà il futuro candidato premier del centrodestra con cui confrontarsi.
«Se si riferisce a Silvio Berlusconi sì, la sua presenza è prevista».
Berlusconi al momento non è candidabile. Mi riferivo ad Antonio Tajani.
«Credo che l’unico candidato che possa esprimere Forza Italia sia Berlusconi. Io sono fiero di essere il primo italiano presidente eletto del parlamento europeo. Per diventarlo ho vinto prima le primarie del Ppe e poi la battaglia contro il candidato dei socialisti. Sono stato eletto da una maggioranza chiara, composta da popolari, liberali e conservatori, e immagino che questo abbia fatto piacere ai simpatizzanti del mio partito. Ma il parlamento europeo è l’istituzione più importante della Ue e questo mi carica di responsabilità. Non intendo fare altro».
Resta il fatto che sinora chiunque sia stato indicato come il possibile candidato premier di Forza Italia è stato subito impallinato. Lei è il primo nei cui confronti gli altri dirigenti azzurri hanno speso solo buone parole.
«Sono amici con cui ho condiviso anni di battaglie politiche. Sono uno dei fondatori di Forza Italia e non ho mai organizzato correnti o gruppetti, ho invitato e continuo a invitare tutti, pure chi non la pensa come me».
Correte il rischio di essere scambiati per il partito della Ue, cosa che alle elezioni non pagherebbe.
«Non abbiamo problemi a criticare la Ue e lo faremo anche a Fiuggi. Parleremo dell’Europa che vogliamo e dell’Italia che vogliamo, che non sono queste. Ci presenteremo con l’approvazione definitiva del miliardo e 200 milioni del fondo di solidarietà per i terremotati, che fa arrivare il totale a 2,5 miliardi. Questa è l’Europa che ci piace, non quella della burocrazia, dei funzionari che decidono al posto dei politici».
Le differenze tra voi e la Lega di Matteo Salvini restano comunque grandi.
«Ho sentito Salvini dire che bisogna modificare i trattati. Benissimo, io sono in prima linea per modificare il trattato di Dublino sul diritto d’asilo. Sono favorevole a riscrivere il trattato sulla Banca centrale europea, perché voglio che possa battere moneta come la Federal Reserve. Noi e loro siamo a favore del rilancio dell’agricoltura europea, per la linea dura contro il terrorismo, siamo d’accordo sulle azioni anti-dumping per fermare chi vuole distruggere il nostro tessuto industriale. Se mi dicono di uscire dall’Unione europea sono contrario, ma non mi sembra che Salvini dica questo».
Voi siete vicini ad Angela Merkel, che per Salvini è il problema dell’Europa.
«Certo che le differenze ci sono. Infatti io non sono per il partito unico, non voglio rinunciare alla mia identità e non chiedo agli altri di rinunciare alla loro».
Berlusconi propone la doppia moneta, affiancando una valuta nazionale all’euro: un affronto all’ortodossia europeista. Lei condivide l’idea?
«Con l’avvicinarsi della fine del quantitative easing si è alzato il valore dell’euro rispetto al dollaro e questo rischia di danneggiare i paesi manifatturieri come l’Italia. La doppia moneta proposta da Berlusconi sarebbe un modo per affrontare il problema e tutelare le imprese, ma ci sono altre soluzioni possibili. Lo stesso Berlusconi non ritiene che la sua proposta sia un dogma, tantomeno chiede di cancellare l’euro. Il dibattito è aperto, spero che anche altri lancino idee e che presto si tirino le somme».
Cosa pensa quando legge i sondaggi che certificano la crescente ostilità degli italiani per la Ue?
«I nostri sondaggi dicono che c’è un’inversione di tendenza. È vero che un’altissima percentuale di italiani è insoddisfatta dell’Unione, ma sta crescendo la quota di chi chiede all’Europa di risolvere i tre grandi problemi: terrorismo, immigrazione e disoccupazione giovanile».
Appunto: tutte cose che sinora la Ue non ha fatto.
«Infatti bisogna dare una risposta ai cittadini, ma questa non può essere la distruzione dell’Europa. Non possiamo mica adottare misure anti-dumping da soli, o affrontare da soli il problema del terrorismo. Non siamo la Svizzera, chiusi nel nostro guscio resisteremmo due settimane, poi finiremmo travolti dalla corrente».
Resta il fatto che nella Ue ci sono cose che i comuni cittadini non riescono a spiegarsi, a partire dalla doppia sede del parlamento europeo. Una a Strasburgo e una a Bruxelles, con raddoppio di spese.
«Ma le istituzioni comunitarie non c’entrano nulla. È stata una decisione presa dagli Stati membri con un trattato internazionale. Il parlamento europeo ha votato più volte a favore della sede unica, però non può modificare il trattato. Per quello serve l’unanimità degli Stati e finché la Francia non accetterà di rinunciare alla sede di Strasburgo, rimarranno due sedi. Detto questo, i problemi della Ue sono altri».
Quali?
«Carenza di leader, mancanza di una vera politica europea, assenza di coraggio nell’assumere decisioni su temi come immigrazione e lotta al terrorismo. Ci lamentiamo tutti per la burocrazia europea, ma la burocrazia fa quello che la politica non fa. Quando io ero commissario, i burocrati non hanno mai comandato».
Lei e il presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, avete avuto un duro scontro verbale. Lui ha accusato il parlamento di essere «ridicolo», perché in aula eravate pochissimi, lei lo ha redarguito. Resta il fatto che i banchi erano deserti.
«Era un dibattito sulla presidenza maltese a presidenza maltese conclusa, alle 9 del mattino, e non c’era niente da votare. Due ore dopo, gli eurodeputati presenti erano 750».
E allora come se lo spiega un attacco così duro?
«Non lo so, andrebbe chiesto a Juncker. So solo che poi ha scritto una lettera di scuse. L’incidente è chiuso, ma nei prossimi giorni farò un discorso in aula, prima che lui parli sullo stato dell’Unione, e dirò che il parlamento è l’unica istituzione europea democraticamente eletta, rappresenta mezzo miliardo di cittadini e deve essere il luogo centrale del dibattito politico».
Juncker è spesso accusato di essere affezionato all’alcol. Sul web girano filmati in cui appare quantomeno alticcio. Non crede che anche questo contribuisca al discredito delle istituzioni europee?
«Non mi occupo della vita privata degli altri, mi occupo dei rapporti politici».
E che giudizio politico dà del lavoro fatto sinora dalla squadra di Juncker?
«Alcune cose hanno funzionato, altre no».
Cosa non ha funzionato?
«Ad esempio mi sarei aspettato di più dalla politica a sostegno dell’industria, delle piccole e medie imprese e del turismo. Anche sulle politiche anti-dumping mi attendevo una linea più ferma. Siamo noi che abbiamo costretto la Commissione a cambiare atteggiamento sul riconoscimento della Cina come economia di mercato. Mi attendo anche l’introduzione di un sistema di controllo sugli investimenti extraeuropei: se arrivano per creare posti di lavoro e ricchezza, bene, ma se vengono per portarsi via il “saper fare” italiano o francese, non li vogliamo».
Tra le più criticate c’è Federica Mogherini. È stato un errore affidarle la politica estera e la sicurezza?
«La politica estera europea dovrebbe essere più incisiva nei Balcani e in Africa, ma la responsabilità non può essere attribuita solo alla Mogherini. Io considero sbagliata la decisione presa dall’Italia non per la sua persona, su cui non do giudizi, ma perché il governo italiano avrebbe dovuto scegliere un portafoglio economico, più confacente ai nostri interessi. Avere l’alto rappresentante per la politica estera e la sicurezza non è la cosa più utile per noi».
Il numero dei ricollocamenti fatti sinora è ridicolo: appena 8.220 persone.
«Anche in questo caso è stato il parlamento a spingere la Commissione ad aprire la procedura d’infrazione nei confronti di chi non partecipa al programma. E dopo la sentenza con cui Corte Ue ha respinto i ricorsi di Slovacchia e Ungheria, altri quattromila immigrati possono essere subito riallocati».
Crede davvero che le sanzioni bastino a fare cambiare idea ai paesi dell’est?
«Mi auguro di sì. E credo che quei paesi ci debbano molto. Ci siamo battuti per farli uscire dalla dittatura comunista, investendo anche tanto denaro. È giusto che adesso loro siano solidali con noi. La solidarietà non può essere a senso unico».
E voi cosa farete per aiutare l’Italia?
«Il 12 ottobre voteremo in commissione la riforma del trattato di Dublino sul diritto d’asilo, spero che la porteremo in assemblea plenaria entro l’autunno. Mi auguro che gli Stati membri facciano passi in avanti e che finalmente si tolga all’Italia l’onere di dover tenere tutti i rifugiati che arrivano».
L’Europa non è ancora riuscita a chiudere il corridoio libico.
«Io ho chiesto di usare 6 miliardi per chiuderlo, ma li hanno stanziati per bloccare il corridoio balcanico. La cui chiusura è utile pure per noi, ma non come quella della tratta libica, che va fatta, anche se bisogna creare un corridoio umanitario per i cristiani africani e gli altri che rischiano di essere massacrati dall’Isis. Inutile riempirsi la bocca con le radici cristiane dell’Europa, se poi li lasciamo lì a farsi tagliare la gola. Il migrante economico torna a casa sua, ma il perseguitato è mio dovere accoglierlo».