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 2017  settembre 09 Sabato calendario

Stupro a Firenze, l’ambasciata americana preme: «Bisogna fare chiarezza il più presto possibile»

Vanno lette con cura le parole scelte dall’ambasciata americana di fronte alla notizia del presunto stupro di Firenze. Perché dietro le dichiarazioni ufficiose e ufficiali c’è anche l’esigenza di avere risposte precise, «chiarezza il più presto possibile», come confermano fonti diplomatiche, prima che su questa storia si avventino i media americani.
Intanto, la prudenza che avvolge la sede diplomatica di Via Veneto, a Roma, è massima. Si fa riferimento a «notizie di stampa» come fonte unica di quello che si sa. Ma nell’attesa, l’ambasciata fa sapere di aver preso «molto sul serio tali denunce» come sempre fanno le missioni diplomatiche Usa, «pronte a dare assistenza ai cittadini americani vittime di crimini che ne fanno richiesta».
A parte le rassicurazioni di rito, c’è poca voglia di dire di più tra i rappresentanti del governo americano in Italia. E il finale del comunicato fatto circolare lo dice esplicitamente: «Data la natura del caso e ai fini di tutela della privacy delle persone coinvolte, ci asteniamo da qualunque ulteriore commento». La storia è troppo delicata, e già colma di implicazioni per aggiungere altro. Perlopiù nei giorni in cui la poltrona dell’ambasciatore è ancora vuota. Lewis M. Eisenberg, nominato dall’amministrazione di Donald Trump, arriverà come previsto tra una decina di giorni. Fino ad allora le voci che raccontano l’apprensione per quanto sta accadendo a Firenze restano anonime. Fonti diplomatiche però confermano l’urgenza di avere chiarimenti, per i risvolti potenzialmente esplosivi delle accuse di due studentesse americane a due carabinieri, cioè uomini dello Stato. Ce n’è abbastanza per scatenare i tabloid e riempire pagine di giornali e studi tv di criminologi, di colpevolisti e di retroscenisti che potrebbero trasformare la cronaca in un caso politico. È già accaduto di recente e l’esempio è ben impresso nella memoria della diplomazia americana che attende chiarezza. Dieci anni fa l’omicidio della studentessa inglese Meredith Kercher provocò una sorta di beatificazione mediatica negli Stati Uniti di una dei due principali accusati: la ragazza di Seattle, la biondina acqua e sapone Amanda Knox.
L’America si riunì in difesa della propria concittadina scatenando tutto l’arsenale mediatico contro il sistema giudiziario italiano che aveva incarcerato per mesi e poi assolto la studentessa. Anche in quel caso c’erano di mezzo uomini dello Stato, magistrati e forze dell’ordine, colpevoli secondo l’opinione pubblica Usa di superficialità e di essersi accaniti su Amanda con la complicità della nostra stampa. Per carità sono accuse imparagonabili a quelle rivolte ai due carabinieri ma allora si venne a creare un cortocircuito ingestibile che nessuno vorrebbe si ripetesse oggi. Su Amanda, la diplomazia Usa si mosse per vie informali, e l’attenzione del governo fu massima al punto che prima dell’assoluzione finale, sul Guardian uscì un articolo che sintetizzava così il possibile scenario: «Se l’Alta Corte Italiana ribadirà la colpevolezza i rapporti diplomatici tra i due Paesi verranno messi a dura prova». Gli Usa avrebbero dovuto concedere l’estradizione a una ragazza che per gli americani era innocente.
E al tempo c’era Barack Obama alla Casa Bianca. Non un presidente come Donald Trump, abituato a cavalcare gli umori popolari e pronto a mostrare il volto duro del padre patriota che vuole sacrosanta giustizia per i suoi cittadini. Ecco perché occhi e orecchie dall’ambasciata Usa in Italia puntano a Washington o alla Fox Tv, nella speranza, questa volta, di non avere dubbi su chi siano i colpevoli e chi gli innocenti.