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 2017  settembre 10 Domenica calendario

Assaggiatori di olio. Sono 10mila in tutta Italia: per giudicare il prodotto devono usare solo olfatto e gusto. Vietato guardarlo

«Io con l’olio c’ho a che fare da novant’anni. Qualcosa ne capisco», racconta Guido Borghesani, con una nota di orgoglio che si ferma stretta in gola. Novantatre anni e una vita trascorsa in provincia di Verona tra gli uliveti del padre dapprima e poi i suoi. A trentacinque anni è diventato «assaggiatore professionista» di olio d’oliva. «A metà degli anni 80 il mio olio è stato decretato il migliore del Veneto», sottolinea. Guido qualche assaggio ancora oggi lo concede, «per gli amici soprattutto. L’olio è la mia passione da sempre». Ma come lui, in Italia, ce ne sono tanti altri di intenditori o aspiranti tali che valutano l’odore e il sapore dell’olio. Mentre assaggiano, non lo guardano nemmeno con la coda dell’occhio, per non ingannare l’olfatto e il gusto. Sicuri del loro naso e del loro palato esperto, dapprima l’annusano e poi lo assaggiano a piccoli sorsi. Pochi secondi ed esprimono il loro verdetto. È olio d’oliva o non lo è, è di qualità o sa di “pipì di gatto”, che, fuori dal gergo, significa è scadente. 
L’olio non manca mai sulle nostre tavole, ma non ci facciamo caso. Abituati a sentir parlare di esperti di vino, dimentichiamo che esistono anche loro, i “sommelier” dell’olio. Non sono nemmeno in pochi. In Italia, ad oggi, infatti, sono più di 10 mila i professionisti riconosciuti e registrati presso le Camere di Commercio delle varie Regioni. Ma abilitarsi non è un gioco da ragazzi. Occorre una certa predisposizione, ma soprattutto ci vogliono anni e centinaia e migliaia di assaggi per affinare il palato e allenare l’olfatto. Dopo i corsi, le lezioni, gli allenamenti costanti, va superato un esame finale. Una prova di venti assaggi diluiti nell’arco di una settimana e poi l’attestato, che dimostra di essere finalmente professionisti del mestiere. Con i loro olfatti finissimi ricordano gli odori anche a distanza di anni. «Gli assaggiatori di olio devono avere memoria. È la regola fondamentale», racconta Fulvio Genovese di Unaprol Consorzio Olivicolo Italiano. «Nella loro vita faranno migliaia di assaggi e devono ricordarsi i gusti, i sapori, gli odori, per essere in grado di discernere le sostanze buone da quelle scadenti». Il futuro dei sommelier è spesso scritto. 
Entrano a far parte dei cosiddetti panel, dei gruppi di circa otto assaggiatori, che seguono delle regole precise, tutte scritte nella normativa Coi, organismo Onu con sede a Madrid. Gli assaggi infatti non avvengono a casaccio, secondo le proprie abitudini, come fa ciascuno a casa propria. Ci sono dei criteri, dei comportamenti da tenere quando si entra nella cosiddetta “sala panel”, dove vengono espressi i giudizi degli esperti. Uno di fianco all’altro si dispongono gli assaggiatori. Ma non devono vedersi, non devono distrarsi, la loro attenzione deve essere focalizzata tutta sull’olio. Così vengono separati da piccoli box, chiusi su tre lati. «La cosa più importante è che non devono assolutamente vedere il colore dell’olio. Questo li può trarre in inganno. Infatti vengono utilizzati dei bicchierini specifici di colore blu o marrone, in modo che non si veda l’interno», continua Fulvio Genovese, che oltretutto ricopre carica di capo panel, colui che decreta il giudizio finale. «Non si possono fare troppi assaggi uno dietro l’altro, massimo devono esserne effettuati sei. Bisogna diffidare da chi dice di saper fare 20 assaggi contemporaneamente. Di solito sono ciarlatani». Una regola semplice è questa: se è amaro e piccante, l’olio è promosso. Ma è più facile a dirsi: «Ci vuole un palato esperto per percepirlo. Per le casalinghe una regola più semplice può essere basarsi sul prezzo. Al supermercato infatti l’olio viene venduto anche a 2 o 3 euro. Un buon olio d’oliva invece deve costare almeno 7 euro e mezzo al chilo», aggiunge. 
Sono tanti gli assaggiatori, ma i guadagni per le loro prestazioni spesso non sono così alti. «Quella del membro di panel è una prestazione gratuita. Per legge, infatti, non possono ricevere compensi, ma solo rimborsi spese o gettoni di presenza», spiega Genovese. Futuro più roseo, invece, spetta a chi riesce a trovare lavoro presso i frantoi, le grandi cooperative o nella stessa industria confezionatrice. Ruolo ancor più ambito è quello di assaggiatore di un’azienda olearia, dove gli stipendi possono arrivare fino a 4 mila euro al mese.