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 2017  settembre 10 Domenica calendario

Nove zoo su undici a rischio

Dopo esserci occupati dello zoo argentino che droga leoni e tigri perché i visitatori, pagando un supplemento, possano farsi un selfie accanto ai felini tramortiti, è doveroso raccontare le condizione dei giardini zoologici italiani. Che purtroppo non ci fanno fare una bella figura. Anzi. Troviamo animali sofferenti, mal nutriti e umiliati, costretti a comportamenti innaturali dentro gabbie troppo strette e fatiscenti con livelli di igiene scarsissimi e reti metalliche arrugginite. 
Su 11 strutture visitate, solo due avevano ottenuto la licenza di giardino zoologico, e il 33 per cento di quelle che ne avevano presentato richiesta erano in corso di valutazione; ciononostante erano aperte al pubblico (quindi fuorilegge). 
Davvero una brutta fotografia quella che emerge dal nuovo rapporto di Born Free e Lega Antivivisezione (Lav) sulle strutture italiane, all’interno di un dossier più ampio sui “Giardini zoologici dei Paesi dell’Ue 2016”. 
Gestiti in totale sfregio delle normative e «potenzialmente rischiosi». Tengono prigioniere creature meravigliose maltrattandole crudelmente, come mostrano le foto in pagina. Un orso bruno è chiuso tra pareti di cemento e batte ripetutamente sul muro le zampe, mentre alcuni leoni sono rinchiusi in celle minuscole. Sono bestioline selvatiche, la loro casa è nei boschi, nelle foreste, nelle savane, habitat che l’uomo non ha ancora distrutto completamente, per fortuna. Privarle della libertà, costringerle a vivere con altri animali, e a stretto contatto con l’uomo, in un ambiente artificiale per loro è fonte di stress e infelicità. Lasciarli nelle grinfie di gestori di «impianti i cui scopi principali non sembrano rivolti alla conservazione delle specie e nemmeno a garantire agli animali condizioni di vita adeguate alle esigenze etologiche» è una crudeltà. Senza contare che «oltre il 50 per cento degli zoo esaminati presentava i propri animali nel corso di spettacoli, costringendoli ad assumere comportamenti innaturali, spesso in ambienti inappropriati e incoraggiandoli al contatto diretto con i visitatori», raccontano le associazioni che hanno trovato cumuli di escrementi nelle gabbie a indicare pulizia rara o inefficiente. Molti animali sembravano in cattive condizioni di salute: alcuni apparentemente affetti da patologie cutanee, altri con segni di obesità o malnutrizione e spesso non avevano l’opportunità di sottrarsi alla vista del pubblico, oppure di appartarsi o allontanarsi dai compagni di gabbia. E inoltre le gabbie erano prive di tettoie per poterli riparare dal sole o dalla pioggia. 
Dopo i sopralluoghi nelle 11 strutture italiane («Aquarium Reptilarium di Jesolo, Zoo di Napoli, Fasanolandia e Zoosafari di Fasano, Parco delle Star, Zoo/Safari Park d’Abruzzo, Safari Park di Pombia, Zoo di Poppi, Zoo di Murazzano e i delfinari Oltremare e Zoomarine») le due associazioni chiedono al ministero dell’Ambiente di mettere «urgentemente in atto una serie di azioni, tra cui lo sviluppo di un Piano di Azione Nazionale sugli zoo che delinei le procedure su come gestire e risolvere le criticità esistenti» con più controlli, risorse umane e finanziarie, e sanzioni. Purtroppo «i miglioramenti negli zoo sono stati pochi rispetto alle necessità reali ha affermato Daniel Turner, direttore associato per il Turismo e Affari Ue di Born Free -. I risultati sono inaccettabili, soprattutto perché l’introduzione della normativa europea e nazionale sugli zoo risale a più di 15 anni fa». Altro che 15 anni! Molti di loro sono di matrice ottocentesca. Purtroppo le ispezioni del ministero dell’Ambiente come dice Born Free sono state «limitate, incoerenti e inefficaci». E non è la prima volta che Lav e Born Free denunciano la situazione degli zoo in Italia. Già a ottobre scorso, un altro rapporto, era finito sul tavolo del ministero dell’Ambiente. 
La normativa di riferimento per gli zoo in Italia (direttiva Ue del 1999, per la prima volta in Europa) aveva dettato le regole che segnavano – almeno sulla carta il superamento del concetto ottocentesco degli animali come oggetti da esposizione. In base a questa norma le strutture che vogliono detenere animali per mostrarli al pubblico devono necessariamente perseguire tre scopi: conservare le specie a rischio, fare educazione e ricerca. E ovviamente garantire e rispettare le caratteristiche etologiche delle specie presenti. 
Noi però siamo sempre sulla stessa linea, come ribadisce Michela Vittoria Brambilla, presidente del Movimento Animalista: «Gli zoo vanno chiusi domani, anzi, li avrei chiusi ieri, se non fosse che occorrono un accordo a livello europeo e soprattutto adeguate garanzie per la sorte degli animali, molti dei quali non possono essere reimmessi in natura». E nelle gabbie bisognerebbe mettere certi uomini... bizzarri e malvagi che maltrattano i nostri animali come fossero di peluche.