la Repubblica, 11 settembre 2017
Cagliari, un passo nel futuro. «Sarà la casa di un popolo»
CAGLIARI Sotto il palo della porta nord hanno sotterrato una moneta, un portafortuna. E forse funziona davvero se il primo gol alla Sardegna Arena lo segna un sardo, Sau, dei dintorni di Nuoro. Pare quasi un segno. Il Cagliari inaugura la sua nuova casa vincendo 1-0, e nemmeno il Crotone pare voler rovinare la festa, come non c’era riuscita la pioggia caduta dalla mattina. Per qualcuno, il temporale è “la maledizione di Cellino”, il presidente dello stadio Is Arenas, demolito da un’inchiesta penale e rimontato nel vecchio parcheggio del Sant’Elia per farne un gioiello. Ma giocare in uno stadio alzato dove 128 giorni fa c’era solo asfalto e che oggi ospita cucine, salette lounge per cene di lusso e un museo aperto 6 giorni a settimana, è soprattutto la fine di un incubo: negli ultimi 15 anni il Cagliari era passato dal Sant’Elia a Tempio Pausania, da Quartu a Olbia, addirittura a Trieste e Torino. “Una terra, un popolo, una squadra”, rivendica il motto sopra la tribuna nuova. «Ma negli ultimi anni siamo stati la squadra di un popolo che non aveva uno stadio, costretto a peregrinare: era importante avere una casa», ammette Flavio Soriga, scrittore che alla Sardegna ha legato la propria poetica (Sardinia blues, Nuraghe beach). «L’impianto può essere un richiamo per tutta la Sardegna: fa rivivere Sant’Elia, il quartiere in cui Sergio Atzeni aveva ambientato il suo “Bellas Mariposas”, uno dei più bei libri del secondo Novecento sardo. E dove Soro aveva immaginato un museo dell’identità sarda disegnato da Zaha Hadid. Un quartiere difficile, di case popolari, ma in cui è in corso una riqualificazione e dove resiste un villaggetto dei pescatori: lo stadio è la scommessa per farlo risorgere».
Il percorso per arrivarci è iniziato nel dicembre 2015, come spiega Daniele Olla, dirigente dell’assessorato ai lavori pubblici di Cagliari: «Il club ha chiesto la concessione per realizzare e gestire il nuovo stadio di Cagliari. Poi, dopo la delibera di pubblico interesse, a novembre 2016 la variante urbanistica che ha consentito la realizzazione dell’impianto provvisorio, con tutti gli oneri a carico del Cagliari». Otto milioni per costruirlo, 800mila euro per smantellarlo e rifarne il parcheggio dello stadio che verrà, ma non prima di 4-5 anni. Entro il 2017 Giulini chiuderà il progetto esecutivo, per fine 2018 aspetta la pubblica utilità. Bisognerà aspettare poi abbattimento del Sant’Elia e realizzazione del nuovo sulle sue ceneri: «È previsto un unico bando per demolizione e costruzione. A oggi, il Comune partecipa per una quota di 10 milioni e tornerà proprietario una volta scaduta la concessione». «Parteciperanno costruttori che hanno già dimostrato interesse», assicura il presidente rossoblù Giulini.
Ieri allo stadio c’era pure Giuseppe Tomasini, uno dei leader dello scudetto ‘70. «Il Sant’Elia era quasi un deserto – dice – il pubblico era lontano, lo chiamavamo “la prateria”. In questo stadio invece si sentiranno le urla dei tifosi. Riva mi diceva che quando vedi un pubblico così, attaccato al campo, lo specchio per un avversario si restringe». E ai tifosi pensa Marcello Fois, scrittore di Nuoro: «Mi piace che ai sostenitori arrivi l’idea che quello è il loro spazio: ci aiuterebbe ad avere tifosi più civili, a casa propria si sporca meno. E poi alla città serviva uno spazio per vivere lo sport. Per i tifosi cagliaritani è un’occasione: ora abbiamo uno stadio nostro. Valorizziamolo come una cosa che ci appartiene».
Eppure dei 16.233 posti che offre l’Arena, un migliaio sono rimasti invenduti. Certo in 7.500 hanno comprato un abbonamento, ed è un record: chi è rimasto a casa, forse scettico oppure chissà, deve ancora scoprire che Cagliari ha fatto un passo nel proprio futuro.