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 2017  settembre 10 Domenica calendario

Boldini e signore

Emiliana Concha de Ossa, Evelyn Nesbit, Dora Labouchère, Cléo de Mérode, Madame Veil-Picard. E Donna Franca Florio, la contessa Francesca d’Orsay, la marchesa Luisa Casati, Mademoiselle de Nemidoff, forse le più famose, quelle la cui memoria è arrivata fino a noi avvolta nell’alone mitico di un’epoca magica e folle come fu la Belle Époque. Una galassia femminile il cui cantore fu Giovanni Boldini, italiano di Parigi, che delineò la donna moderna debuttante nel nuovo secolo. Con un istinto lucido e spregiudicato ne seppe scorgere la nascente identità attraverso quell’universo di donne spensierate e alla moda, di cui divenne idolatrato ritrattista, ma anche intimo confessore e spesso amante.
Grandes dames, figlie e mogli di illustri personaggi dell’alta società, e poi artiste, attrici e muse, un catalogo femminile accomunato dalla consapevolezza della propria bellezza e dall’urgenza dell’emancipazione.
Partito da Ferrara, dopo un periodo nella Firenze dei Macchiaioli in un clima antiaccademico e di ricerca, appena approdò a Parigi divenne famoso. Fondamentali gli incontri con il mercante Antoine Goupil, prima, e poi con la contessa Gabrielle de Rasty, modella e amante, che lo misero in contatto con il bel mondo, di cui divenne uno dei protagonisti. Parigi allora era il centro del mondo. La rigenerazione urbanistica di Haussmann e le più innovative scoperte tecnologiche la proclamavano la capitale delle capitali. La Ville Lumière illuminata a giorno dall’elettricità, dove la modernità si schiudeva, la terra promessa degli artisti, con la più alta densità creativa mai più registrata, animata da una joie de vivre che la teneva sempre sveglia tra teatri, café e bistrot. Il palcoscenico vertiginoso di un’alta società che viveva inseguendo lusso e mondanità, tra salotti e feste: in scena l’esaltazione di una concezione di vita che già conteneva i segni della sua decadenza.
Le sue divine e il loro mondo animano la mostra antologica dedicata a Giovanni Boldini alla Reggia di Venaria Reale. Appaiono in forma di grandi dipinti boldiniani ma anche come protagoniste di film muti anni ‘10, come soggetti di stampe fotografiche d’epoca e plasmate in sculture e arredi liberty.
Nella mostra curata da Tiziano Panconi e Sergio Gaddi si intreccia la collaborazione con il Centro Sperimentale di Cinematografia del Museo del Cinema di Torino e con la Fondazione Arte Nova, integrazioni suggestive volte a ricreare il clima e il contesto del periodo.
I ritratti di Boldini divennero lo status per la borghesia che si affermava, in cerca di svaghi, di opere d’arte da collezionare che la gratificassero diventando simbolo del potere economico-politico e, insieme, celebrando l’effige e lo sfarzo come un’istantanea. Boldini vedeva le sue modelle come neanche loro erano in grado di farlo, potenti nel loro fascino seduttivo, vibranti di desiderio per una vita libera e anticonformista. E loro, durante le lunghe sedute di posa, manifestavano una natura che le rendeva creature ammaliatrici, capaci di inchiodare lo spettatore con una sensualità fremente e con lo sguardo: quel famoso sguardo alla Boldini, che coglie l’istante, mentre il resto del corpo, gli abiti e l’ambiente vorticano in una fotografia mossa. Un insieme di realismo e trasfigurazione.
Le sue donne non sono più quelle della rigida iconografia ottocentesca. Sono volti contemporanei, ritratti psicologici che coinvolgono la figura intera, di cui si coglie la mimica e la gestualità di tutto il corpo.
Ritratti che respirano, in cui l’artista riesce a fissare l’essenza vitale del loro spirito. Attorno, le vesti si fanno leggere, tracce che scivolano sulla tela fino a disfarsi in astrazioni. Una figurazione dinamica impressa dalle inconfondibili pennellate rapide e gestuali, che reinterpretano in maniera personalissima le esperienze artistiche a lui coeve e insieme preludono ad alcune avanguardie come il Futurismo.
Per la prima volta a Venaria vengono presentate anche le foto originali di alcune protagoniste dei suoi quadri, ritrovate tramite le eredi. Le attrici Lyda Borelli, Francesca Bertini e Pina Menichelli dialogano con gli imponenti e famosi ritratti di Donna Franca Florio (rimaneggiato per vent’anni, dopo il rifiuto del marito per l’aspetto troppo spregiudicato della baronessa), Mademoiselle de Nemidoff, le fotografie di Alaide Banti e Mademoiselle Lanthelme, rispecchiandosi nelle acconciature elaborate, gli abiti fastosi, le pose scenografiche, i lunghi fili di perle.
Piume di pavone e altri motivi, come la libellula che adorna in foggia di spilla il petto maturo di Madame Seligman, sembrano volati via dai decori di arredi e manufatti disseminati lungo il percorso di visita.
Boldini fa parte di quella categoria di grandi talenti a cui la vita ha sorriso, forse troppo, bloccandoli in un istante cristallizzato di bellezza e successo che si è trasformato in un modulo incantato. Una maniera, pur eccezionale, che ha messo sotto una teca il loro genio.
Relegato in secondo piano per decenni, prima che un’attenta critica ne abbia sdoganato l’indubbio valore e il suo carattere avanguardistico, Boldini è rimasto penalizzato dall’essere stato per certi versi il teorico della Belle Époque, incarnandone le caratteristiche estreme ed effimere. Decantati i clamori biografici del pittore e delle sue eroine, rimane l’interprete visionario di un’epoca straordinaria e di figure indimenticabili, che vivono ancora oggi.