la Repubblica, 10 settembre 2017
I mercanti di sport e il romanticismo di De Laurentiis
Intervistato in settimana dal nostro Cosimo Cito sul probabile (oggi, sicuro) bis Tour-Vuelta da parte di Froome, Hinault ha tenuto a puntualizzare: «Ma il mio ciclismo era più duro e più romantico». Verissimo. Potrei aggiungere anche più umano, nel senso di meno condizionato dalla tecnologia, e più bello da vedere e da raccontare. Ma anche questo ciclismo può regalare un giorno antico e romantico, «un giorno come un uccello sopra il ramo più alto» (Aragon). Il giorno di Alberto Contador, ieri. Diceva Alfredo Martini che il ciclismo è uno dei pochi sport che ti lasciano il tempo di pensare, mentre lo pratichi. Dai piedi alla cima dell’Angliru sono circa 12 km. Per le sue pendenze, che arrivano al 23%, l’Angliru è considerato come lo Zoncolan o il Mortirolo di Spagna. Per dare l’addio al ciclismo, era l’ultima occasione. Un addio alla grande, perché Contador non è mai stato il profeta del massimo risultato col minimo sforzo, a dispetto del cognome che porta. In spagnolo vale come calcolatore. C’è qualcosa di bellissimo e di patetico nell’attacco di Contador. Annunciato e forse destinato al fallimento, ma è meglio rischiare la crisi che avere rimpianti, questo Contador lo sa, sa che ha solo questa carta da giocare e lo sanno anche gli altri.Mentre pedala Contador pensa alla sua prima bici, agli incidenti che ha avuto, un sacco di cadute, a quante volte ha rischiato la pelle, alle vittorie, al doping, a una maturità in cui fatica a tenere il passo in salita. Negli ultimi 1.500 metri deve anche pensare a Poels e Froome che potrebbero raggiungerlo, sono a meno di mezzo minuto e cos’è mezzo minuto in salita? Poco o nulla. Allora comincia a pedalare sghembo, tutto di spalle, la faccia senza espressione che solo a pochi metri dal traguardo si apre in un sorriso. Giorno romantico perché della vittoria di Contador hanno goduto in tanti: i tifosi, che l’hanno incoraggiato ma spinto mai, molti corridori spagnoli, anche con una maglia diversa dalla sua, che qualche tiratina non gliel’hanno negata, mettiamoci pure qualche moto comprensiva, ma che bellezza questa cavalcata di Contador. Detto El Pistolero, ma non lo ricorderò certo per questo. Sì invece per la consapevolezza del ruolo, per il gusto della corsa e dell’avventura, per la capacità di improvvisare.
Passiamo al calcio. Anche qui, una bella novità. Non mi riferisco al o alla Var, credo che non si possa fare un bilancio ogni domenica e che convenga aspettare almeno la fine del girone di andata. Alludo allo stop del mercato prima dell’inizio dei campionati. Anni e anni a dire che era indispensabile per sottrarre il pallone ai mercanti, anni e anni in cui nulla s’è fatto se non parlarne. Ora che s’è mossa la Premier League, con 14 voti a favore su 20, è normale che nella breccia s’infilino in tanti e spero che l’Italia sia tra le prime. Dopo l’estate dei mali di pancia, a indicare la voglia di andare altrove anche in presenza di un contratto firmato che non lo avrebbe consentito, ci siamo beccati l’estate dei certificati medici e di calciatori scomparsi al momento di partire per il ritiro. Tutto tranne che una cosa seria. Ma ci sono mercati peggiori, come ha raccontato Emanuela Audisio su queste pagine. Riprenderla brevemente può essere utile. Il mercato dell’atletica è più povero di quello del calcio, ma è una corsa ad accaparrarsi atleti di altre nazioni che possono portare medaglie. Lily Layes, atleta etiope, diventata Abdullayeva perché l’Azerbaigian le aveva offerto 300 dollari al mese e una nuova nazionalità, nel 2011 vince l’oro nei 5 e 10mila agli Europei under 23, il bronzo nei 3mila agli Europei, ma la federazione non le paga né lo stipendio né i premi. Il suo allenatore, il turco Sesak, quand’ è infortunata le propina testosterone, più altre iniezioni sospette. Sarà squalificato a vita. Al presidente federale, che avrebbe intascato i 7mila dollari dovuti a Lily, neanche un buffetto. Lei è tornata senza un dollaro nel suo villaggio e Sebastian Coe, presidente della Iaaf, ha promesso di rivedere i regolamenti: «Non vogliamo che gli atleti siano trattati come bestie e forse finora il problema è stato sottovalutato». Forse? Se Coe (4) si togliesse i paraocchi vedrebbe che il problema è stato molto sottovalutato, e forse questo non è un caso. Forse. E forse Aurelio de Laurentiis è un romantico. Chi ci avrebbe mai pensato? È un interrogativo che toglie il sonno, e poi su cosa basarsi per rispondere? Intervistato sul Corsera di ieri, a una domanda sulla sua fama di uomo rude risponde: «In realtà sono un romantico. Una volta un regista chiese a mio padre: “Ma perché Aurelio è sempre incazzato, sgradevole, duro?”. Lui rispose: “Vedi, tu non hai capito che, quando Aurelio manda qualcuno a fare in culo, si realizza”». Ecco, il regista non l’aveva capito ma qualcuno in Italia sì. Ed è per modestia che ne taccio il nome.