la Repubblica, 10 settembre 2017
Auto elettrica, la grande corsa e il turbo l’ha messo Pechino
TORINO C’è anche chi ha deciso di ricorrere all’autofinaziamento. Creando, come Bmw, un modello di lusso che garantisca ampi margini di guadagno per poter finanziare la ricerca e lo sviluppo dei veicoli elettrici di domani. Il settore dell’auto è in piena fibrillazione e gli stand del Salone di Francoforte, che apriranno dopodomani alla stampa, ospiteranno un numero di veicoli elettrici o ibridi mai raggiunto finora. La novità non è tanto che si realizzino automobili con propulsori in tutto o in parte elettrici ma che un numero crescente di costruttori annunci per i prossimi anni l’abbandono dei motori a combustione. Lo hanno già fatto i governi e le istituzioni locali. La Norvegia ha annunciato che dal 2025 verranno bandite le auto a benzina e diesel. Già oggi nel paese nordico il 37% delle auto nuove è ad alimentazione ibrida o elettrica. Si tratta, naturalmente, di Paesi con un parco circolante ridotto e con forme di incentivazione molto forti, fino a 9.000 euro per l’acquisto di una Tesla. Ma anche di nazioni che possono permettersi di creare subito una rete infrastrutturale adeguata: la Svezia ha aumentato del 600% il numero delle colonnine per la ricarica veloce nell’area più popolata del Paese.
Così non deve stupire se a Francoforte il concept del futuro X7, il mega suv di Bmw realizzato pensando soprattutto al mercato Usa, verrà proposto in versione ibrida. In grado, nonostante la mole, di percorrere 100 chilometri con soli due litri di benzina. Più del lodevole impegno dei Paesi scandinavi, a spingere i costruttori ad investire sull’elettrico sono state le recenti scelte del governo cinese che regola il mercato di gran lunga più grande del mondo. Pechino ha deciso di alzare progressivamente la quota obbligatoria di auto a propulsione ibrida o elettrica vendute nel paese fino al 12% nel 2020. Per i costruttori europei come Volkswagen significa già realizzare mezzo milione di auto di questo tipo. Gli investimenti diventano dunque obbligatori: tanto vale sfruttarli anche per il mercato europeo. Dove Volvo, che è di proprietà cinese, ha già annunciato di voler realizzare a partire dal 2019 tutte le sue auto con propulsione totalmente o parzialmente elettrica. Analogamente in queste ore Jaguar- Land Rover, di proprietà degli indiani di Tata, ha annunciato che tutti i nuovi suv dal 2020 saranno elettrici o ibridi.
Annunci che stridono con la realtà del mercato europeo dove ancora nel 2016 il 49,5% delle nuove immatricolazioni era di veicoli diesel e il 45,8 era alimentato a benzina. Più del 95%delle auto vendute è dunque mosso da propulsori che tutti annunciano di voler mettere fuori legge in tempi più o meno ravvicinati. Questa differenza tra gli annunci e la realtà sembra dare ragione agli scettici: «La tecnologia è disponibile, ce l’abbiamo e la utilizzeremo quando il mercato la chiederà», hanno sempre risposto in questi anni i vertici di Fca. A rafforzare lo scetticismo di Torino c’è anche il particolare momento: quando si attende di realizzare una grande alleanza non è certo il momento di investire cifre consistenti in una tecnologia che avrà successo dopo una decina di anni. I grandi mercati europei infatti, quelli che determinano le scelte dei produttori di massa, avranno bisogno di più tempo per adeguarsi al cambio di propulsione: Francia e Regno Unito hanno annunciato che intendono bandire diesel e benzina entro il 2040, cioè tra 23 anni La situazione italiana è particolare: a lungo gli incentivi dei governi e quelli a favore della circolazione ecologica nei centri urbani hanno finito per favorire soprattutto la propulsione a metano. Addirittura se con l’espressione alimentazione alternativa si considerano anche i motori a combustione non alimentati da diesel e benzina, l’Italia è in cima alle classifiche europee. Ma la rete di distribuzione del metano è concentrata soprattutto nel nostro Paese ed è scarsamente diffusa nel resto d’Europa. Per cui questo tipo di carburante rischia di rimanere sostanzialmente una particolarità regionale, come l’etanolo in Brasile. Per ora l’elettrico soffre di un problema analogo. Perché nei grandi mercati le colonnine per la ricarica veloce sono ancora scarse anche se il governo tedesco ha promesso una rapida installazione lungo le autostrade del Paese. Ma la svolta decisiva, su cui scommettono tutti i costruttori, sarà quella della diminuzione del prezzo delle batterie. La produzione in larga scala e l’utilizzo di nuovi materiali sarà in grado di comprimere i costi aumentando l’efficienza e l’autonomia. Nel 2026, prevede Bloomberg, il prezzo delle auto elettriche sarà inferiore a quello delle auto tradizionali odierne. Perché, nonostante le apparenze, l’era dell’auto elettrica sta davvero cominciando.