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 2017  settembre 09 Sabato calendario

L’antenato di Valentino che costruiva moto nell’officina clandestina

PESARO Scommette che alla fine vincerà la Ducati, con Dovizioso. «Perché i giapponesi sono dei giganti: ricchi, organizzati. Ma noi, da queste parti, siamo nati per la meccanica. La velocità, l’avventura. Sappiamo realizzare i sogni. Io andavo a dormire tutte le notti con un foglio bianco ed una penna sul comodino. Mi svegliavo all’improvviso, disegnavo un motore. E il giorno dopo, nel poco tempo libero a disposizione, montavamo i nuovi pezzi». È così che Giancarlo Morbidelli con la sua casa motociclistica ha vinto due mondiali nella stessa stagione, l’anniversario cade proprio ora: sono 40 anni esatti da un successo irripetibile nella storia di questo sport. Moto Morbidelli, una leggenda. Il titolo in 125 con Pier Paolo Bianchi, apprendista meccanico di Rimini. E quello in 250 con Mario Lega, impiegato Sip di Lugo di Romagna. Altri 2 mondiali conquistati in 14 epiche stagioni di corse (dal ’68 all’82). Un sogno in bianco e nero nato nello sgabuzzino di una fabbrica di macchine per il legno, realizzato con l’aiuto di quattro operai che poi montavano in sella per provare le opere d’arte di quel pesarese geniale. Uno che il padre l’aveva obbligato a studiare falegnameria, «però a me piaceva la meccanica e sbarazzavo con le motociclette». Giancarlo Morbidelli, il Leonardo della Terra dei Motori: Marche e Romagna. Da Pesaro a Misano sono 20 chilometri, e la Tavullia di Valentino è proprio in mezzo. «Gli ingegneri della Suzuki vennero a trovarmi, 40 anni fa. Volevano scoprire i segreti di questa moto che vinceva tutto: quando videro dove si lavorava, e che eravamo solo in cinque, non ci credevano. Poi si offrirono di comprare tutto il Reparto Corse, ma io mica potevo: era parte della fabbrica, quella vera».
La fabbrica l’aveva aperta poco più che ventenne, dopo aver realizzato una serie di innovative macchine per la lavorazione del legno che finirono per monopolizzare il mercato mondiale: 350 dipendenti, tre grandi capannoni industriali alla periferia della città. In un angolo nascosto, una specie di corridoio di 10 metri per 4, aveva ricavato una officina ‘clandestina’. Cominciò tutto 50 anni fa con la costruzione di un kart, poi la trasformazione di un monocilindrico a due tempi Benelli e l’arrivo di Franco Ringhini, che era un grande meccanico e pure pilota. La storia l’ha raccontata in maniera esemplare Jeffrey Zani in un documentario dal titolo “Morbidelli, storie di uomini e di moto veloci”. Interviste e vecchie immagini come musica sincopata di un’impresa che pareva impossibile, invece. Le prime corse con Eugenio Lazzarini, i titoli italiani di Alberto Ieva, la morte di Gilberto Parlotti correndo sull’isola di Man e Angel Nieto che prende il suo posto. Nomi di campioni come poesia – Isnardi, Buscherini, Grassetti -, Paolo Pileri che vince il mondiale nel ’75 e Bianchi l’anno dopo, quindi l’apoteosi del ’77. Graziano Rossi, il papà del Doc, che se non fosse caduto due volte vinceva il titolo pure lui.
«Nell’82 ho detto basta al Reparto Corse: a mio figlio Gianni non piacevano le due ruote, lui correva con le auto – 70 gare di Formula Uno e un podio, una gara al volante di una Ferrari in sostituzione di Alain Prost – e io scelsi di dedicarmi a lui». Nel ’90 ha venduto l’azienda di macchine per il legno, a patto che fosse garantito il posto di tutti i dipendenti e l’attività a Pesaro. Oggi il vecchio stabilimento ospita uno straordinario museo con 350 moto. La storia del genio italiano. Giancarlo Morbidelli, 83 anni, non ha ancora smesso di sognare. «Da queste parti siamo così. Meccanica, velocità, avventura. I giapponesi sono dei giganti. Ma la Ducati ci farà felici, ne sono sicuro».