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 2017  settembre 10 Domenica calendario

Un Leone da favola. Trionfa il fantasy di Del Toro sul mostro romantico. Rampling miglior attrice per il film di Pallaoro: «Italia fonte d’ispirazione da Visconti a Celentano»

Venezia Venezia ha creduto alla favola, il Leone d’oro è The Shape of Water di Guillermo Del Toro, alla sua prima volta in concorso alla Mostra, il primo regista messicano a conquistarlo. Anche la giuria guidata da Annette Bening si è lasciata trascinare come già critici e pubblico, dal fascino della storia dell’amore tra una cameriera muta e solitaria (Sally Hawking) e una misteriosa creatura marina (Doug Jones) oggetto delle mire di americani e sovietici nell’America della Guerra fredda. Un amore che sfida ogni limite, presentato dal regista in chiave anti Trump come «un antidoto alla politica della paura, della divisione, della disumanizzazione dei rapporti».
È tornato al Lido dagli Usa, in tempo per presentarsi commosso sul palco della Sala Grande. «Ho 52 anni, peso 130 chili, ho fatto 10 film, arriva il momento in cui capisci che devi rischiare tutto. Si può fare, se resti puro e credi in ciò che fai. Io credo nei mostri». Dedica il premio ai giovani registi latinoamericani e messicani, dice che lo ribattezzerà Sergio Leone, e chiude tra le lacrime: «Credo nella vita, nell’amore e nel cinema». La favola è appena cominciata, agli Oscar lui e i suoi attori, Sally Hawking su tutti, avranno di che gioire.
Non nasconde l’emozione neanche Charlotte Rampling, a cui Jasmine Trinca consegna la coppa Volpi per Hannah del giovane Andrea Pallaoro con tutta la giuria che si alza in piedi a omaggiarla. Un ruolo impegnativo, lei sempre in scena a raccontare una donna che sta perdendo ogni punto di riferimento. Unico premio in quota italiana (ma in Orizzonti vince Nico, 1988 di Susanna Nicchiarelli). «L’Italia – restituisce il favore l’attrice – è la mia più grande fonte di ispirazione. Ho fatto molti film qui. Ho lavorato all’inizio della mia carriera con Gianfranco Mingozzi, poi con Luchino Visconti, Liliana Cavani, Adriano Celentano e tanti altri. Ed essere premiata qui oggi con il film di un regista delle nuova generazione mi fa ancora più piacere perché vuol dire che la mia vita è più connessa».
La gara della commozione la stravince l’attore francese Xavier Legrand: il suo film di esordio alla regia, Jusqu’à la garde – su una battaglia per l’affidamento di un figlio che precipita con toni da horror nella violenza domestica – porta a casa due premi, quello per l’opera prima intitolato a Luigi De Laurentiis e il più pesante Leone d’argento per la regia. L’altro Leone d’argento, il Gran Premio della giuria è andato a Foxtrot dell’israeliano Samuel Maoz. «Foxtrot è una danza, i passi possono essere diversi ma si finisce sempre dove si inizia e io sono felice di essere qui nel punto in cui ho iniziato». Ovvero con il Leone d’oro 2008 andato a Lebanon.
Miglior attore è un palestinese, Kamel El Basha del film di Ziad Doueiri The Insult, ambientato a Beirut. Emozione anche per lui che viene dal teatro, mentre il più compassato è il giovane Charlie Plummer, premio Mastroianni per Lean on Pete. Lo ha voluto Ridley Scott per All the Money in the World come Paul Getty jr, sentiremo parlare di lui. Solo premio per la sceneggiatura a uno dei titoli favoriti, Three Billbords Outside Elling, Missouri di Martin McDonagh. Delusione per Frances McDormand. A mani vuote anche gli altri hollywoodiani: George Clooney e il suo amico Matt Damon ( Suburbicon ) che qui aveva aperto con Downsizing di Alexander Payne. Era il festival degli outsider, e ha vinto un irregolare. Alessandro Borghi, il cerimoniere, ringrazia da parte sua Claudio Caligari.