Corriere della Sera, 9 settembre 2017
Una sera a cena con i nordcoreani
Roma In alto i calici. Il brindisi finale è alla «salute dello stimato compagno Kim Jon Un», il leader nordcoreano che sta tenendo in ansia il mondo intero con le sue minacce nucleari. Siamo a Roma. È il 6 settembre e l’ambasciata nordcoreana, un piccolo edificio a due passi dal laghetto dell’Eur, ha deciso di festeggiare con tre giorni di anticipo il 65simo anniversario della fondazione della Repubblica popolare. Gli invitati sono tanti, una settantina, ascoltano il discorso del neo ambasciatore Mun Jong-nam che è arrivato a fine agosto in sostituzione del suo predecessore Kim Chun-guk, morto nel 2016. Le sue credenziali devono ancora essere esaminate dall’Italia ma intanto le sue parole, al ricevimento, non sono di certo accomodanti: «Non cederemo neanche di un centimetro – dice – sul cammino di rafforzamento delle forze nucleari che abbiamo scelto finché non si siano eliminate le origini della politica ostile e la minaccia nucleare degli Stati-Uniti nei confronti del nostro Paese». Applausi tra gli astanti. «L’atmosfera è felliniana – ci racconta uno degli invitati —, ci sono personaggi che sembrano usciti direttamente da un film». Pochi i volti noti. Uno di questi è Antonio Razzi, senatore di Forza Italia che da una decina di anni ha un rapporto privilegiato, e anche molto criticato, con la Corea del Nord. «Mi sono stupito – dice al Corriere – che al ricevimento non ci fosse nessuno della Farnesina. Con il muro contro muro non si otterrà mai nulla. È un Paese che ci devi ragionare. Io l’ho detto anche all’ambasciatore: “Che volete veramente in cambio per non adoperare il nucleare?». Razzi ha intenzione di recarsi a Pyongyang il 20 e il 21 settembre «però soltanto se mi assicurano che parlerò con persone di alto livello perché se è per farsi una birra io non vado: risparmio 5mila euro di biglietto e 12 ore di volo». Il senatore di Forza Italia scherza sulla famosa imitazione che di lui fa il comico Maurizio Crozza: «Secondo me è invidioso perché io ho i capelli e lui no».
Ma al di là delle battute al momento i rapporti tra l’Italia e la Corea del Nord sono ai minimi termini. Una speranza concreta c’era stata nel 2000 quando l’allora ministro degli Esteri Lamberto Dini decise di avviare un rapporto privilegiato con la Repubblica popolare democratica di Corea su suggerimento degli Stati Uniti: «Volevamo attuare piccoli progetti di cooperazione – ricorda Dini al Corriere – ma in Corea del Nord alla fine c’è sempre uno sviluppo negativo che impedisce di costruire come in Vietnam o in Iran. La segretaria di Stato Madeleine Albright riuscì a ottenere una visita per il presidente Bill Clinton. Poi arrivò Bush e fece la lista degli Stati canaglia».
Oggi le relazioni commerciali tra Roma e Pyongyang sono vicine allo zero. Nel 2016, secondo i dati dell’Ice, l’Italia ha esportato beni per poco più di un milione di euro. Una bazzecola. «Anche perché – dice Dini – ci sono le sanzioni e i nordcoreani non forniscono alcuna garanzia agli investitori stranieri». L’unica che ci ha provato è la Legea, un’azienda di Pompei, che nel 2010 si è messa a produrre le magliette della nazionale di calcio nordcoreana. E, anzi, Franco Luigi Acanfora, l’amministratore delegato, è convinto che «in questi giorni ci sia stato un aumento nella vendita delle magliette perché è un modo per esprimere l’attaccamento alla propria nazione». Un altro piccolo tentativo di dialogo lo sta portando avanti il Conservatorio di musica di Santa Cecilia che si appresta a inviare alcuni maestri di lirica a Pyongyang per addestrare gli insegnanti del conservatorio locale. Per il resto non rimangono che le comparsate (folkloristiche) dei politici. Come quella, nel 2013, di Paolo Romani, allora vicepresidente dei senatori Pdl, e, nel 2014, del leader della Lega Matteo Salvini.