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 2017  settembre 11 Lunedì calendario

Intervista al responsabile esteri della Catalogna Raul Romeva: «Il referendum sull’indipendenza è un problema che tocca anche l’Ue»

Dopo il grande subbuglio delle ultime ore, Barcellona vive ore di attesa. Tutti aspettano la manifestazione di oggi che concederà la foto che l’indipendentismo ottiene ogni anno: la folla oceanica che chiede l’addio a Madrid. Raul Romeva, responsabile dei rapporti internazionali del governo catalano, da due anni lavora di fatto da ministro degli Esteri di uno Stato che (ancora) non c’è. Nei suoi viaggi in Europa ha trovato molte resistenze, soprattutto per i veti della Spagna: «Eppure noi vorremmo fare un discorso pubblico aperto, come fanno tutti». A tre settimane dal referendum, che Rajoy proibisce, Romeva, in un Palau della Generalitat deserto (è domenica), chiama in causa decine di volte Bruxelles: «Questo è un problema che riguarda l’Europa».
Raul Romeva, davvero si farà il referendum?
«Certo».
Ci sono molti ostacoli. Per esempio la legalità.
«La legalità non è l’ostacolo. Lo Stato spagnolo semmai. La giustizia, il tribunale costituzionale, la procura. Non la legalità. In Spagna non c’è una vera separazione dei poteri, il tribunale costituzionale è controllato dal governo, un tema che dovrebbe interessare anche l’Europa».
Ma indicendo un referendum siete usciti fuori dalla legalità.
«Non è così. Le leggi lo prevedono. Dal 1991 si sono fatti nel mondo 53 referendum di autodeterminazione. Noi vogliamo che decida la gente, non un giudice, non un tribunale, non un presidente di un governo».
Sfidate la costituzione, non è scontato il fatto che la giustizia risponda?
«Ripeto: è tutto legale, ma se la Spagna non vuole nemmeno dialogare ha un problema con la democrazia. L’Ue deve capire che qui sono in gioco i pilastri democratici».
Nessuno all’estero, almeno per ora, ascolta le vostre ragioni. Perché?
«Siamo in fase di comunicazione. Spieghiamo le nostre ragioni. A un movimento pacifico e di massa, dopo molti anni di mobilitazione, si risponde sempre no a tutto e questo è un problema. E ripeto: anche per l’Europa».
A Bruxelles vi hanno fatto capire: la repubblica catalana deve fare la fila per entrare nell’Ue.
«Sul referendum la posizione non cambia: è una questione interna della Spagna, nessuno ha detto che non possiamo votare. Poi qualcuno ha parlato del nostro ingresso in Europa. In ogni caso la Scozia, se avesse scelto il sì sarebbe rimasta nell’Ue».
Ma lì c’è stato un negoziato.
«Ed è quello che cercavamo noi. Visto che è impossibile, passiamo alla seconda fase».
In caso di vittoria del sì, vi aspettate che l’Europa non consideri più quello catalano come un problema di politica interna spagnola?
«Noi crediamo che già avrebbe dovuto capirlo. Come fa a essere un tema spagnolo? Qui, per fare un solo esempio, ci sono oltre 6 mila imprese internazionali. Vogliamo sapere: perché non possiamo essere uno Stato indipendente, come l’Estonia, Malta o l’Italia?».
I membri del governo catalano, lei compreso, rischiano la prigione sfidando le leggi spagnole. Come vive questa situazione?
«La vivo stupefatto. È il segno che lo Stato non conosce altri mezzi. Chiediamo dialogo e ci rispondono con la polizia. Ci vogliono mettere in carcere: davvero l’Europa non ha niente da dire?».
Non è fuori dal tempo la richiesta di diventare uno Stato indipendente nell’Europa del XXI secolo?
«Cosa sarebbe fuori dal tempo, votare? Mai, come in questi anni, sono stati indetti così tanti referendum in Europa. C’è una situazione che noi riteniamo ingiusta che vogliamo risolvere chiedendo ai nostri concittadini di esprimersi».
Con la proclamazione del referendum avete sconvolto la politica e la società: era il vostro obiettivo?
«Sono stupito dal fatto che qualcuno si stupisca. Sono mesi che diciamo che avremmo fatto queste cose. In Catalogna l’80% delle persone vuole votare».
Ma in molti dicono sì solo a un referendum accordato. Qui siamo davanti a una scelta unilaterale. Perché tanta fretta?
«Fretta? Sono dieci anni che chiediamo di votare. Il nostro desiderio era proprio l’accordo. Ci abbiamo provato in tutti i modi. Eravamo pronti a scendere a patti su tutto, la data, il quorum, la moratoria. La loro risposta è stata sempre e solo giudiziaria».
Perché non ci sono i sostenitori del no in questa campagna?
«Se l’80% vuole votare significa che tra loro ci sono tanti elettori contrari all’indipendenza».
Sarà un referendum legale?
«Ci saranno tutte le garanzie».
Dove si voterà?
«I Comuni indicheranno i collegi elettorali, come sempre».
Ma alcuni sindaci, come quello di Barcellona, non vogliono concedere i locali.
«Si risolveranno questi problemi, ma in ogni caso tutti potranno votare. Ci sarebbe piaciuto fare le cose in maniera più semplice, ma non ci viene concesso. Questa in ogni caso non è una questione di logistica, ma di democrazia».