Il Sole 24 Ore, 10 settembre 2017
Capolavori sotto le bombe. La drammatica storia dell’esodo delle opere d’arte pistoiesi durante l’ultima guerra
Negli anni tremendi dell’ultima guerra mondiale anche Pistoia – come molte altre città italiane – subì l’esodo rocambolesco del proprio patrimonio artistico e conobbe terribili bombardamenti che colpirono palazzi e chiese del centro storico. A questo capitolo drammatico e poco noto è dedicata la mostra Tesori in guerra. L’arte a Pistoia tra salvezza e distruzione (Pistoia, Chiostro di San Lorenzo, dall’8 al 20 settembre). Una rassegna piccola, basata sostanzialmente su materiali fotografici e pannelli, che però è in grado di evocare con grande efficacia la dimensione dell’epopea vissuta dai pistoiesi in quei difficilissimi frangenti. A organizzarla sono stati Alessia Cecconi e Matteo Grasso, con il sostegno della Regione Toscana e della Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia. La rassegna è oltremodo interessante perché offre l’assaggio di una ricerca più ampia che Alessia Cecconi sta compiendo nell’ambito del progetto Resistere per l’arte: guerra e patrimonio artistico in Toscana, che si è già concretizzato in un volume di storie di uomini e di opere salvate durante la guerra (dalla Maestà di Duccio a Siena alla Primavera di Botticelli), mentre è atteso per ottobre un secondo volume interamente dedicato alle vicende delle opere d’arte pistoiesi.
Per sfuggire ai bombardamenti e alle razzie anche le opere d’arte di Pistoia vennero spostate in sedi esterne alla città e lo si fece tre volte: nella Villa Medicea di Poggio a Caiano nel 1940, nella villa di Pian di Collina di Santomato nel 1943, e poi a Firenze nel 1944, in ordine sparso nella Galleria dell’Accademia e Palazzo Pitti.
L’8 agosto 1940 arrivarono alla Villa Medicea di Poggio a Caiano i pezzi più pregiati e antichi: la tavola con San Francesco e storie della sua vita attribuita a Coppo di Marcovaldo, il Polittico degli Umiliati (provenienti dal Museo Civico), la Madonna e Santi iniziata dal Verrocchio e terminata da Lorenzo di Credi, l’imponente Crocifisso di Coppo di Marcovaldo (dal Duomo), il Crocifisso di Giovanni Pisano (da Sant’Andrea),il polittico di Taddeo Gaddi e il dossale di Giovanni di Bartolomeo Cristiani (da San Giovanni Forcivitas).
L’inadeguatezza di questa sistemazione si rivelò nell’autunno del 1942, quando iniziarono i primi bombardamenti aerei sui centri storici italiani. Si dovettero organizzare nuovi traslochi e smistamenti in rifugi più lontani dalle città e dagli obiettivi militari. Il patrimonio pistoiese venne così in parte trasferito nella villa di Pian di Collina a Santomato dov’erano sopraggiunti anche importanti capolavori dagli Uffizi (Filippo Lippi, Beato Angelico, Luca Signorelli, Rosso Fiorentino e Parmigianino). Nei mesi successivi, nella villa di Pian di Collina si concentrò gran parte del patrimonio artistico pistoiese: altre opere giunsero del Museo Civico (dipinti di Vasari, Granacci, Beccafumi, Giovanni da San Giovanni), assieme a gran parte delle sculture delle chiese di Pistoia (Duomo, Battistero, Sant’Andrea, San Giovanni Forcivitas e San Pietro).
Dopo l’8 settembre 1943 iniziò l’ora più incerta per il patrimonio artistico italiano. La Direzione Generale delle Arti entrò in una fase di sgretolamento, e così anche le soprintendenze toscane si trovarono in condizioni di grande incertezza. Nel gennaio 1944 iniziò a profilarsi l’idea di un nuovo trasferimento del patrimonio conservato nella Villa di Santomato. Nella speranza che Firenze venisse proclamata «città aperta» (il che, però, non avvenne), alcune opere presero la via del capoluogo toscano. Tra il 30 gennaio e il 2 febbraio 1944 molti tesori conservati nella villa di Pian di Collina vennero trasportati a Palazzo Pitti e nella Galleria dell’Accademia, compreso il nucleo di Pistoia, accastato in casse e stivato assieme a opere requisite alle famiglie ebree fiorentine.
Lo sfollamento delle opere d’arte da Pistoia fu oggettivamente provvidenziale. Nell’estate del 1943 i bombardamenti si intensificarono per cui fu necessario predisporre protezioni anche per le opere inamovibili. A Pistoia, tra il settembre e l’ottobre del 1943, vennero realizzate strutture di mattoni per rivestire i portali del Duomo, di San Paolo, di San Giovanni Forcivitas, di Sant’Andrea e di San Pietro. «Muraglie di mattoni» furono utilizzate anche per proteggere le arcate e il fregio robbiano dell’Ospedale del Ceppo. Fu poi la volta dei pulpiti medievali di San Bartolomeo in Pantano, di San Giovanni Forcivitas e del mirabile pergamo di Giovanni Pisano in Sant’Andrea. Le protezioni furono concluse proprio qualche giorno prima del primo, terribile bombardamento della città, il 24 ottobre 1943.
Uno dei nuclei più toccanti della rassegna di Pistoia è proprio quello che illustra i terribili danni subiti dalla città durante la guerra: Pistoia pagò un prezzo altissimo, con 12 chiese rase al suolo e altre 50 danneggiate gravemente. Il dies irae del 24 ottobre 1943 uccise 150 persone e travolse palazzi ed edifici di culto (San Domenico, Santissima Annunziata, Palazzo Conversini, il Convento delle Salesiane e l’Ospedale del Ceppo). Una bomba centrò in pieno Sant’Andrea, ma la chiesa e il mirabile pergamo di Giovanni Pisano vennero “graziati”: il malefico ordigno si rifiutò di esplodere. All’alba del 16 maggio 1944 le ultime bombe caddero sulla città e la perdita più grave fu, stavolta, la chiesa di San Giovanni Battista del Corso con i due chiostri annessi: tutto andò distrutto.
L’8 settembre 1944 Pistoia venne liberata dai partigiani e non meno rocambolesche risultarono le successive operazioni di recupero del patrimonio artistico cittadino disperso dalla guerra. La mostra si sofferma su un caso emblematico: le lunette del portale maggiore del Duomo di Pistoia di Andrea della Robbia. Staccate dalla loro sede originaria appena prima del bombardamento del 24 ottobre 1943 (insieme allo Stemma del Comune attribuito a Verrocchio e alla grande pala con la Resurrezione di Benedetto Buglioni), queste lunette venne portate a Poggio a Caiano e non seguirono i successivi trasferimenti del patrimonio pistoiese. A un certo punto però “sparirono” dalla villa. Era accaduto che, alla fine di agosto del ’44, l’esercito tedesco in ritirata aveva requisito e portato al Nord molte opere custodite nella dimora medicea. Nelle 58 casse razziate, oltre ai bassorilievi monumentali più celebri di Pistoia, si celavano anche capolavori di Donatello (S. Giorgio) e Michelangelo (Bacco) provenienti dal Museo del Bargello.
Dopo la liberazione dei Firenze, ai primi di settembre del 1944 Filippo Rossi delle Gallerie fiorentine e Frederick Hartt dei Monuments Men alleati giunsero a Poggio a Caiano per indagare sul destino delle opere d’arte requisite dai tedeschi nella villa. L’arcivescovo di Firenze Elia Dalla Costa, coinvolto nella ricerca, scrisse a monsignor Giovanni Battista Montini in Vaticano per avere informazioni al riguardo e la risposta giunse nel novembre del 1944: le 58 casse provenienti da Poggio a Caiano si trovano nel Castello di Neumelans a Campo Tures in Alto Adige.
Nel maggio 1945 Hartt e Rossi arrivarono a Campo Tures e trovarono le casse con il San Giorgio di Donatello, il Bacco di Michelangelo e le Robbiane pistoiesi. Il 20 luglio 1945 da Bolzano i capolavori recuperati partirono per Firenze, e il 21 luglio, in Piazza della Signoria, una folla «esultante al passaggio del convoglio», tra grida, applausi e squilli di tromba, seguì la solenne cerimonia di restituzione delle opere. Lo Stemma del Comune e le Robbiane di Pistoia potevano finalmente tornare a casa.