Libero, 7 settembre 2017
Mattarella s’è rotto: decido io come si vota
Ieri dopo lungo letargo hanno riaperto la loro attività ordinaria i due rami del Parlamento, e l’attenzione si è focalizzata per l’ennesima volta sulla legge elettorale, che è tornata al centro dei lavori della commissione affari costituzionali della Camera. Davanti è deputati si è trovato quello stesso vecchio testo rimandato dall’aula sul modello proporzionale alla tedesca che vedeva relatore Emanuele Fiano e che qualche mese fa era il frutto del primo accordo nella legislatura fra Pd, Forza Italia e M5s, naufragato però alla prima prova dei voti segreti. Un testo da cui formalmente tutti ancora vogliono partire, ma che sembra appartenere a un’altra era geologica. Allora interessava a Silvio Berlusconi, che però poi passando il tempo ha lavorato per unire con Forza Italia Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Interessava a Matteo Renzi, perché sembrava l’unico modo per andare al voto anticipato entro settembre.
Ci siamo arrivati, del voto nemmeno l’ombra e l’interesse di Renzi per il proporzionale alla tedesca è andato a farsi benedire. Il M5s sembra ormai avere ritagliato la propria campagna elettorale sulle leggi esistenti partorite dalla Corte costituzionale, e comunque già ieri ha fatto sapere che prima di esaminare la legge elettorale bisogna che diventi legge il provvedimento di Matteo Richetti sui vecchi vitalizi parlamentari. Quindi tutte le dichiarazioni di ieri di possibile apertura e addirittura di possibile approdo in aula della legge entro fine mese sono semplice teatrino politico.
Anche Matteo Renzi nei suo vari giri appena ripresi per la presentazione del libro non ha concesso grandi aperture: «Se c’è l’accordo sulla legge elettorale noi ci si siamo. Ma a pochi mesi dalla fine della legislatura, diciamo che se c’è un accordo di tutti bene, ma se è un accordo contro qualcuno sarà difficile da far accettare». Ma lo scenario vero è ben diverso.
LA DECISIONE
Bastava origliare invece quel che si diceva sui divani di Montecitorio in capannelli in cui dopo avere partecipato alla sceneggiata si stavano confrontando proprio ieri autorevoli esponenti del Pd e del centro destra. Secondo i loro discorsi non c’è alcuna possibilità di un accordo ora sulla legge e quindi si dà per scontato che la prossima conferenza dei capigruppo modifichi il calendario dei lavori d’aula. «Matteo», spiegava in esponente del Pd, «ci ha chiesto invece di pensare a mettere in sicurezza in tempi rapidi la legge di bilancio per il 2018, che sarà preceduta entro fine mese dalla nota di aggiornamento del Def. La legge di bilancio sarà discussa ampiamente, con spazio per modifiche, al Senato dove la maggioranza è più risicata. Ma il testo che uscirà da lì dovrà essere messo in sicurezza senza possibilità di rimettere tutto in discussione nel passaggio alla Camera dei deputati».
L’obiettivo secondo questa ricostruzione è proprio quello di chiudere la legge di Bilancio entro i primi di dicembre per poi prendere di petto prima delle vacanze di Natale la legge elettorale. Un tentativo si farà, ma i punti di vista perfino interni ai vari partiti contraenti sono così diversi, che è facile tutto sia destinato al naufragio.
SI MUOVE IL COLLE
A quel punto entrerebbe in gioco il Quirinale, con cui il tema è già stato affrontato dal presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni. Inizialmente senza una nuova legge elettorale si era pensato di fare varare dal governo un decreto legislativo che cercasse la semplice armonizzazione dei testi usciti dalla Consulta per la Camera e il Senato. Nessuna modifica sostanziale all’impianto, ma solo un allineamento di alcuni aspetti non divisivi, come quello sulla parità di genere e piccole cose. Così sembrava orientato Gentiloni in caso di insuccesso dell’accordo politico su una nuova legge. Ma dagli uffici del Quirinale è emersa una preoccupazione: un decreto legislativo non previsto sulla materia dalla Costituzione ha il vantaggio di essere blindato, ma potrebbe essere impugnato da qualsiasi ricorrente davanti a un Tar creando problemi delicatissimi alla fine ordinata della legislatura. Quelle modifiche potrebbero essere fatte allora per decreto legge, chiedendone alle Camera la conversione con disegno di legge. Ma dal capannello che ne stava discutendo ieri su questa ipotesi è emersa una ulteriore preoccupazione: «Nella conversione del decreto minimo di armonizzazione verranno presentati emendamenti, e sulla materia c’è il voto segreto. Possiamo scommettere che ne passerà uno sulla abolizione dei capilista bloccati, mandando di fatto la legge elettorale gambe all’aria...». E allora? E dalle file del Pd che arriva la risposta, sostenendo che in quel caso non ci sarebbe resistenza da parte del Quirinale: «Se va all’aria questa legge, bisognerà pure darne una per non prolungare la legislatura oltre modo. E una possibile c’è: abolire per decreto le leggi esistenti e sconvolte da quel voto parlamentare in modo da fare rivivere quella che esisteva in precedenza: la Mattarella. Così come è, perché tempo per altro non ci sarebbe». Ecco l’unica sorpresa finale: un voto con la legge Mattarella, con il placet dell’autore di quelle norme che oggi fa il presidente della Repubblica...