Il Sole 24 Ore, 8 settembre 2017
Troppi dipendenti e pochi biglietti, crack trasporti da Torino a Napoli
Le cronache continuano a essere dominate dal caso Atac, l’azienda dei trasporti di Roma che punta al concordato «senza tagli» a stipendi e posti di lavoro, come ribadito ancora ieri dalla sindaca capitolina Virginia Raggi. Entro il 30 settembre la riforma Madia chiede alle controllate di censire eventuali esuberi, aprendo un meccanismo di mobilità sul “modello” utilizzato per le Province(il decreto attuativo è in arrivo), ma nemmeno Roma sembra voler utilizzare il meccanismo: che, a meno di sorprese, dovrebbe quindi rimanere quasi ovunque nel cassetto.
Anche lontano dalle mura aureliane autobus e tram delle grandi città mostrano sintomi sempre più frequenti di sofferenza, con aziende che ballano pericolosamente sull’orlo del burrone. Nelle città medie, soprattutto al Centro-Nord, il quadro è in genere più solido, al punto che la media del settore parla di un 81% di bilanci chiusi in utile. Ma da Torino a Roma a Napoli, sono i problemi dei big a dominare il panorama.
Roma
I problemi di Atac sono riassumibili in un paio di cifre. Gli 80 milioni di perdita del bilancio 2015 (quello 2016 si è impantanato nei problemi societari), ultimo di una lunghissima serie di conti che hanno accumulato perdite miliardarie. Ad alimentarle è anche un ritmo delle entrate da biglietti e abbonamenti sempre più deludente. A Roma i ricavi da traffico valgono poco più di 260 milioni all’anno, cioè 22mila euro scarsi a dipendente. All’Atm di Milano, dove i venti di crisi non hanno mai soffiato, lo stesso indicatore sfiora i 43mila euro. Come sperare di poter mai ripagare 1,35 miliardi di debiti senza alcun flusso di cassa positivo? E come immaginare di poter garantire un servizio decente con quasi il 50% dei mezzi da rottamare?
Da un anno a questa parte, la giunta pentastellata di Virginia Raggi ha cambiato quattro manager ai vertici della società. Alla fine, dopo tentennamenti e polemiche, la strada scelta per provare a risanare l’azienda è stata quella del concordato preventivo in continuità, che la giunta ufficializzerà oggi in una delibera. Una strada lunga e incerta, quella di avviare la procedura in tribunale e di tentare l’accordo con i creditori (quasi 1.500, più dei mezzi circolanti), che sarà quasi certamente accompagnata da una proroga al 2024 del contratto di servizio, in scadenza a dicembre 2019. Nessuno si aspetta, infatti, un piano di rientro semplice e rapido. La proroga – che pone una pietra tombale sul referendum dei Radicali per la messa a gara – serve a garantire i creditori, ma anche a rassicurare i lavoratori. Ieri l’amministrazione Cinque Stelle ha difeso strenuamente la scelta del concordato sia nell’incontro con i sindacati sia nell’assemblea capitolina straordinaria. «Per effetto di politiche sciagurate Atac rischiava il fallimento, noi la salveremo mantenendola pubblica», è stato il mantra della sindaca Raggi. Accompagnato dalla promessa alle organizzazioni dei lavoratori che «non saranno toccati i livelli occupazionali e salariali». I sindacati degli 11.600 dipendenti incassano, in attesa di un nuovo vertice già fissato per lunedì dal quale si aspettano un’intesa scritta. Ma scioperi e disservizi sono dietro l’angolo. E l’impatto sull’indotto è tutto da verificare, perché da qui in avanti il comportamento dei fornitori, esposti per 325 milioni, sarà un’incognita. Molto dipenderà dai conti (il bilancio 2016 e il primo consolidato del Comune in arrivo a fine mese, che chiarirà anche la reale esposizione del Campidoglio) e dalla solidità del piano industriale, per ora ignoti.
Torino
Voci di concordato continuano a circondare la Gtt di Torino, che condivide con l’azienda di Roma anche la mancata approvazione del bilancio 2016. A Torino il problema non è denunciato dalle perdite (il consuntivo 2015 segna un sostanziale pareggio), ma prima di tutto dai debiti: nell’ultimo bilancio valevano 449,2 milioni (168 sono verso fornitori), una cifra pari all’intero fatturato. A pesare sui conti ci sono però anche i crediti da Comune e Regione: in bilancio sono scritti 111 milioni di mancati pagamenti dall’ente controllante (il Comune tramite Fct Holding) e 43,5 dalle altre Pa, in primis la Regione con l’agenzia per la mobilità. Anche la catena dei mancati pagamenti che paralizza i rapporti fra controllanti, azienda e fornitori avvicina Torino a Roma, con un elemento in più: il Comune sostiene un disallineamento di 24 milioni a proprio favore, e sulla partita indaga la Procura.
Genova
All’Amt di Genova il bilancio 2016 è stato approvato, anche qui c’è in pratica un pareggio accompagnato però da un allarme esplicito sui rischi per la continuità aziendale. A lanciarlo è stato lo stesso amministratore unico Livio Ravera, prima di dimettersi con il cambio della giunta comunale, che nel bilancio ha garantito la continuità per soli 12 mesi. A spiegare il problema, anch’esso non solo genovese, è lo stallo nel «quadro giuridico ed economico di riferimento». In pratica, il contratto di servizio è in proroga dal 2011, il profilo della gara non spunta all’orizzonte e se l’affidamento diretto non sarà prorogato entro il 30 settembre c’è il rischio di un taglio del 5% alla quota ligure del fondo nazionale trasporti. Taglio che, ha già chiarito la Regione, sarà caricato su Amt, il cui patrimonio netto si è assottigliato e rischia di imporre presto una ricapitalizzazione.
Napoli
All’Azienda napoletana di mobilità, dopo i 43 milioni di perdita 2015, mancano ancora i numeri definitivi sul 2016 ed è lo stesso Comune di Napoli a evocare il rischio di fallimento, nonostante la ricapitalizzazione da 65 milioni votata in primavera e l’aumento dei biglietti da giugno. Nell’azienda partenopea gli indicatori su chilometri e ricavi per dipendenti sono peggiori di quelli di Atac.