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 2017  settembre 07 Giovedì calendario

Il ritorno dei «ribelli»: la Siria unita dal calcio sogna la sfida agli Usa

Quando, in pieno recupero, la palla è arrivata sui piedi del centravanti siriano Omar al-Soma, difesa e portiere della Nazionale dell’Iran non hanno certo opposto strenua resistenza. In fondo, la Nazionale di casa poteva permettersi anche di perdere, forte del primo posto del girone A del raggruppamento asiatico, già qualificata per i Mondiali di calcio di Russia 2018. Inoltre, tra Iran e Siria i rapporti sono diretti, un’alleanza forte, sotto la protezione russa. Quel gol, per il 2-2 finale, ha scatenato una notte di festeggiamenti dentro e fuori la Siria, ammorbata da sei anni di guerra.
Sia chiaro, la Nazionale allenata da Ayman Hakeem non ha ancora il pass per Mosca; prima, a ottobre, se la dovrà vedere con la favorita Australia per il primo spareggio. Superato quello, la Siria potrebbe trovarsi davanti gli Stati Uniti, quarti del girone centro-nord americano.
Una sfida dal sapore particolare, coi mediorientali che darebbero qualsiasi cosa per sconfiggere i più titolati avversari, anch’essi coinvolti nel conflitto mediorientale.
Gli Stati Uniti si sentono gli occhi del mondo addosso e che hanno spinto il ct della Nazionale di calcio, Bruce Arena, a rilasciare dichiarazioni contro il presidente Trump: “La nostra politica sull’immigrazione sta provocando impatti devastanti, le avversarie giocano contro di noi con maggior rabbia”.
Gli intrecci calcistici si mescolano col delicato scacchiere geopolitico internazionale, tra alleati e nemici storici.
Per una notte il pallone ha fatto dimenticare a molti l’impatto dei bombardamenti sui civili che hanno provocato migliaia di morti.
La potenza del calcio, capace di convincere alcuni calciatori che si erano opposti al regime di Bashar al-Assad a rientrare in patria per giocare; non si devono dimenticare, tuttavia, i tanti atleti che, al contrario, sono morti a causa delle repressione di Damasco, uccisi o costretti a combattere nell’esercito siriano.
Cosa dire, allora, della dichiarazione ufficiale di alcuni gruppi armati sunniti, pronti a sostenere la Nazionale di calcio, al di là della politica, della guerra e dell’odio che si è innescato dal 2011: “La Nazionale di calcio appartiene a tutta la Siria, non a una fazione specifica” gioiscono molti profughi siriani riparati in Turchia, ma non sono tutti d’accordo: “La Siria ha vinto, ma io non sono felice. Il calcio sta mascherando tutto il male che il regime di Assad ha fatto fino a oggi, la propaganda è un perfetto alleato”, replica Rami Adham, anch’esso scappato dalla guerra. Calcio che ieri è riuscito a far passare in secondo piano un’altra notizia importante.
L’apposita commissione d’inchiesta dell’Onu, al termine di un lungo lavoro, ha confermato che la responsabilità dell’attacco chimico a Khan Sheikoun (provincia di Idlib) del 4 aprile scorso appartiene all’aviazione di Damasco. Propaganda e coincidenze, a volte incredibili. Nel momento in cui la Siria pareggiava a Teheran, concedendosi una speranza di gloria, Damasco annunciava di aver preso il controllo di Deir Ezzor.
Omar al-Soma, l’eroe per una notte, è originario proprio di Deir Ezzor. La città nel deserto al confine con l’Iraq è nelle mani dell’Isis da tre anni. Secondo Mosca, parte attiva dell’operazione, l’aviazione russa avrebbe ucciso 1200 jihadisti, consentendo di rompere l’assedio sulla città. Daesh però non si dà per vinto e ieri ha reagito all’offensiva russo-siriana utilizzando autobomba guidate da kamikaze. La città, nonostante i toni trionfalistici, resta ancora per metà nelle mani del Califfato.