il Fatto Quotidiano, 7 settembre 2017
«Italiani brava gente? Potendo ci ammazzeremmo a vicenda»
Pubblichiamo un estratto del prologo di Giampaolo Pansa al suo libro “Il mio viaggio tra i vinti” (Rizzoli), da oggi in libreria.
Perché intraprendere un viaggio nel mondo di chi è stato sconfitto nella guerra civile italiana? Ho almeno tre buone ragioni (…) La prima è che il punto di vista di questo nuovo lavoro amplia di molto il raggio della bussola che mi aveva guidato nel mio libro più noto, Il sangue dei vinti, uscito nell’ottobre 2003.
Quella ricerca riguardava soltanto i fascisti repubblicani sconfitti nell’aprile del 1945 e le sofferenze patite da loro per mano dei partigiani vincitori. (…) Da quel lavoro ne derivarono altri che scrissi negli anni successivi. E mi guadagnarono il titolo, forse immeritato, di campione italiano del revisionismo storico. Anche nel mio lavoro di giornalista sono sempre stato contrario alle etichette. Preferivo di gran lunga vedere da vicino i fatti e i personaggi che intendevo descrivere. (…) E mi sono reso conto di una verità banale: il mondo dei vinti era molto più vasto e complesso di quello degli sconfitti nello scontro militare. La novità delle pagine che leggerete consiste nella narrazione di un contesto umano che di solito gli storici tradizionali trascurano. (…) Ma il mio libro di oggi vuole andare contro la corrente e presenta una serie di storie spero sorprendenti, proprio perché inaspettate. Qui troverete innanzitutto il ritratto veritiero dei comunisti di quegli anni. Pronti a uccidere con indifferenza anche gli antifascisti che non accettavano la supremazia del partito di Palmiro Togliatti. E insieme le loro debolezze esistenziali, come rivela la vicenda del federale reggiano malato di sifilide e praticamente pazzo. (…) Nel mio viaggio tra i vinti non potevo trascurare la sorte degli ebrei della mia città, alle prese con la maledetta Balilla nera, il preludio delle camere a gas dei campi di sterminio nazisti. (…) Ma il tempo della guerra e della guerra civile ha visto andare allo sbaraglio un’infinità di esistenze private, soprattutto di donne. Di solito non erano coinvolte con nessuna delle parti in lotta. Eppure venivano considerate fasciste e spie dei tedeschi per la professione che facevano: l’insegnante elementare, l’ostetrica, la postina, o la prostituta (…).
La seconda ragione che rendeva inevitabile questo viaggio è che l’uscita del Sangue dei vinti risale a ben quattordici anni fa. (…) In quattordici anni, chi allora era un ragazzo è diventato adulto. (…) Questo libro è dedicato specialmente a loro. Nella speranza che comprendano che non tutti gli antifascisti, come ritengo di essere anch’io, sono accecati dall’odio politico. Un sentimento sterile che non ha più senso. (…) Il terzo motivo riguarda me stesso. Ho iniziato a occuparmi della guerra civile italiana quando avevo ventun anni e stavo preparando la mia tesi di laurea, poi discussa nel luglio 1959 e in seguito pubblicata da Laterza. Oggi sono un signore ottantenne, un giornalista che seguita a lavorare, dopo essere passato per molti quotidiani e settimanali. Se rifletto sul Pansa che stava per laurearsi, mi rendo conto di essere molto cambiato. Non so dire se in peggio o in meglio. Per esempio, non ho più fiducia nelle ideologie. E meno ancora nella politica divenuta una proprietà privata dei partiti odierni. Non ritengo che l’umanità possa essere divisa tra buoni e cattivi sulla base delle scelte elettorali. Infine non credo che la ferocia sia un comportamento soltanto di una parte. Tutti possiamo scoprire che nell’anima di chiunque può celarsi la malvagità. Sono diventato un anarchico pacifista o un qualunquista che rifiuta la violenza? Non tocca a me rispondere. Il viaggio nel mondo dei vinti, compiuto insieme a Adele Grisendi, da anni la compagna della mia vita, è soprattutto un viaggio dell’anima, forse l’ultimo che farò prima di andarmene. (…) Dopo aver scritto tanto sui ragazzi che hanno lottato per la libertà (…) sono andato a frugare tra le vergogne che una parte di loro aveva commesso. (…) Ecco la scoperta che ho fatto scrivendo questo nuovo libro: l’Italia è un paese di sconfitti. E noi italiani non siamo affatto brava gente. Ci odiamo e vorremmo ammazzarci a vicenda. Accade anche oggi, nel caos di una Repubblica tenuta in vita da partiti screditati, corrotti e abbastanza mafiosi.