La Stampa, 7 settembre 2017
Camorristi e narcotrafficanti. Finalmente arrivano i cattivi
E all’ottavo giorno Barbera creò la risata. Curioso, però: se finalmente alla Mostra si è riso, perfino alla refrigerante proiezione per i semifreddi della stampa, lo si è fatto a un film pieno di sparatorie e ammazzamenti nelle strade di Napoli. Vedi Napoli e poi muori, appunto. Ma con l’ironia devastante su una città devastata dalla criminalità di questo deliziosissimo frullato di sceneggiata, musical, noir, camp e tarantinate (inteso come citazioni di Tarantino) che è Ammore e malavita dei Manetti Bros, i due fratelli registi che girano e parlano all’unisono tipo Di Maio e Di Battista.
Al Lido sono giorni «neri». Perché in contemporanea al Carlo Buccirosso camorrista e alla Claudia Gerini pupa del boss è tutto un fiorire di coppie della criminalità, meglio se organizzata. Come nel film fuori concorso di Fernando Léon de Aranoa, Loving Pablo, dove il Pablo da amare è Escobar, il famigerato signore della droga colombiano, e chi lo ama la giornalista Virginia Vallejo che fu la sua compagna-confidente-intervistatrice. Una specie di relazione al quadrato, perché Pablo e Virginia sono Javier Bardem e Penelope Cruz, compagni anche nella vita.
Anche i cartoni animati
Da un lato, ne ha guadagnato la Mostra, rivivificata da una coppia obiettivamente glam. Dall’altra, ci ha rimesso la conferenza stampa, dove Penelope ha tenuto a farci sapere che era «nauseata» dal personaggio interpretato con troppa intensità dal compagno. Insomma, quando Javier tornava a casa e si metteva in pantofole lei lo accoglieva schifata: «Era così dentro il suo personaggio che non vedevo l’ora di finire il film. Non vedevo Javier ma Pablo».
Si torna invece a Napoli, alla camorra e alle canzoni, con Gatta Cenerentola, cartone animato di un poker di autori, Rak, Cappiello, Guarnieri e Sansone. L’omonimo capolavoro di Roberto De Simone c’entra nulla, e poco anche la novella secentesca di Giambattista Basile da cui il titolo. Stavolta la favola di Cenerentola è ambientata nel porto di Napoli, fra carichi di cocaina in arrivo e pistolettate in partenza. Il Principe di azzurro ha la divisa, perché è un poliziotto; la matrigna è la moglie di un trafficante; le sei perfidissime sorellastre sono in realtà cinque, perché il sesto è un femminiello. Accoglienze e recensioni molto cordiali.
Però, se ultimamente al Lido si è violato e visionato l’intero Codice penale, Ammore e malavita sembra abbia una colpa, quindi una marcia, in più. Non fa soltanto ridere (volendolo, beninteso: i film che hanno fatto ridere senza volerlo pure non sono mancati), è anche assai cinico. Spicca dunque in questa Mostra così terribilmente corretta, dove perfino la Regina Vittoria fa dell’anticolonialismo (che è come vedere Salvini volontario in una Ong nel canale di Sicilia), Clooney infila a forza il razzismo nel suo noir (denuncia, messaggio!) e Ai Weiwei si aggira fra i migranti come se ci chiedesse e soprattutto si chiedesse: «Dove si va a fare del bene stasera?». E avanti con la guerra dimenticata e la minoranza conculcata.
In tutta questa correttezza benpensante con lacrima incorporata, dove non si può scherzare su niente perché, per carità, non sta bene e si offende subito qualcuno, evviva le quattro risate sui morti ammazzati, che peraltro risorgono subito per fare da coretto all’ultimo duetto core e pistola in mano. O sui «camorra tour» alle Vele di Scampia, con la turista scema tutta contenta perché la scippano pure, e insomma farsi derubare a Scampia è «tipico» come mangiare ostriche a Parigi. La Napoli cupa e disperata raccontata dai media esibisce risorse di creatività e ironia.
E poi, diciamolo, finalmente qualcuno sfotte il «gomorrismo» (copyright dei Bros) che tracima da ogni settore della cultura nazionale. Mettete le manette ai Manetti, sono troppo cattivi per questa Mostra di mostruosa bontà.