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 2017  settembre 06 Mercoledì calendario

I nuovi alleati dello stare bene

Batteri, da nemici ad alleati. In poco meno di 90 anni. Era il 1928 quando Alexander Fleming medico biologo al St.Mary’s Hospital di Londra, tornato in laboratorio dopo tre giorni di vacanza, trovò su un vetrino una macchia di muffa. Ma si accorse che, attorno a questa, le colonie batteriche si erano dissolte. 
«That’s funny...» («È buffo...«) disse rivolgendosi al suo collega. Quella muffa sarebbe diventata l’arma principe per debellare le infezioni batteriche, la penicillina. Microrganismo, quindi, con un solo ruolo: portatore di malattie. La ricerca, però, con ritmi serrati, sta dando al batterio funzioni sempre diverse. Fino a diventare una cura. 
SIMBIOSIDallo studio del microbiota intestinale, cioè da tutti quei microrganismi che compongono la flora intestinale, arrivano terapie per molte malattie. Come ulcera, cirrosi, morbo di Chron, obesità, patologie immunologiche e diabete. Si tratta di utilizzare quella miriade di batteri buoni in simbiosi con noi. Pensiamo solo ai processi digestivi. «Parliamo di varie comunità colonizzate nel nostro organismo – spiega Antonio Gasbarrini ordinario di Gastroenterologia all’Università Cattolica di Roma che da anni lavora sull’utilizzo terapeutico della flora intestinale – sulla pelle, nell’apparato respiratorio, in quello genito-urinario, nell’intestino. Grazie a queste si sviluppano il nostro sistema immunitario e il nostro metabolismo. Oggi le possiamo definire componenti variabili del genoma».
Il trapianto di flora intestinale da donatore sano, per esempio, compiuto al Policlinico Gemelli proprio dalle équipe di Gasbarrini e di Giovanni Cammarota, associato di Gastroenterologia alla Cattolica, si è dimostrato efficace per il trattamento dell’infezione da Clostridium difficile (una grave infezione che può dare ricadute ed essere ingestibile con gli antibiotici a causa delle resistenze ai farmaci). 
È dell’università della Finlandia Orientale, Kuopio, la ricerca, pubblicata su Scientific Reports, che ha scoperto una molecola prodotta dalla flora intestinale in grado di proteggere dal diabete. Gli esperti sono partiti da un campione di un centinaio di individui, tutti sovrappeso o a rischio diabete. Li hanno seguiti per quindici anni. Chi, durante il periodo, non si è ammalato di diabete mostrava nel sangue livelli più elevati di acido indolepropionico. Il sottoprodotto della digestione, da parte di batteri della flora intestinale, delle fibre alimentari. 
RICERCHENell’intestino è stato anche isolato un batterio che potrebbe essere usato come terapia contro la sclerosi multipla (Università dell’Iowa e Mayo Clinic). Grazie a questa cura il quadro neurologico dei topolini malati è migliorato e, allo stesso tempo, è diminuita nel loro organismo la concentrazione di due proteine che causano infiammazione.
Ansiosi? La risposta potrebbe essere sempre nell’intestino. Fotografato, da uno studio dell’Università di Cork in Irlanda e pubblicato su Microbiome il legame tra alcuni regolatori dei geni nel cervello che hanno un ruolo chiave nell’ansia e i batteri nell’addome. «Questi sembrano influenzare i geni nell’amigdala e nella corteccia prefrontale – spiega Gerard Clarke, tra gli autori del lavoro – questo è importante perché possono influenzare processi fisiologici fondamentali per il funzionamento del sistema nervoso centrale e in regioni del cervello che sono fortemente implicate nello sviluppo di ansia e depressione».
Nella flora batterica,infine, è stata individuata la nuova frontiera del doping. L’ipotesi, spiega alla rivista specializzata Bycicling Lauren Peterson, fondatrice dell’Athlete Microbiome Project, è provata dall’aver scoperto che alcuni batteri sono più abbondanti di altri nell’intestino degli atleti professionisti. Tra i 350 tipi di microrganismi isolati due sembrano avere un ruolo nelle performance perché più frequenti in chi fa il ciclista per lavoro e corre ad alti livelli.