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 2017  settembre 06 Mercoledì calendario

Froome avvicina Hinault. «Ma il mio ciclismo era più duro e romantico»

Il calo di Chris Froome nella Vuelta, finora invece dominata, è un’ipotesi che continua a non realizzarsi. Il kenyano d’Inghilterra ha al contrario aggiunto un altro minuto scarso tra sé e Nibali nella crono di Logroño di ieri e ora il suo vantaggio sul secondo della generale è di 1’58”. La lotta di Froome a questo punto si sposta sul piano della storia. Sono nove i corridori riusciti nell’impresa più grossa che esista nel mondo della bicicletta, quella di vincere due Grandi Giri nella stessa stagione. Il conquistatore di Parigi può aggiungere il suo nome a quelli di Merckx, Coppi, Anquetil, Indurain, Battaglin, Roche, Pantani, Contador e Hinault. Dei nove però, solo i francesi Anquetil (1963) e Hinault (1978) hanno vinto Vuelta e Tour nella stessa stagione. Per dire della difficoltà, della vastità del probabile successo di Froome. Bernard Hinault però, per abitudine o perché tantissime ne ha viste, tira i freni e tiene ancora socchiusa la porta della storia.
Si diceva un tempo: non è finita finché non è finita.
«Sicuro, con Nibali poi non si può mai sapere e lo insegna anche la tappa di St. Gervais del Tour 2016, quando Froome cadde due volte rischiando di rimettere tutto in gioco. Il ciclismo è il regno del possibile. Devi arrivare al traguardo in bicicletta. Aspettiamo».
La Vuelta, rispetto al Tour, ha scelto una strada diversa: salite brevi e crudeli (oggi si sale verso Los Machucos con tratti al 26% e sabato c’è l’Angliru) come rampe di garage. Il Tour ama le lunghe salite, più regolari. Le piace la scelta spagnola?
«Ogni corsa ha le sue peculiarità. La Vuelta negli ultimi anni è sempre stata disegnata così, bisogna accettarlo. Ma non è mai il percorso che fa la corsa, sono i corridori. Questo non si deve dimenticare».
Lei è stato l’ultimo a vincere Vuelta e Tour nello stesso anno. Quanto fu difficile realizzare quell’accoppiata?
«Non più difficile delle altre due accoppiate Giro-Tour che ho realizzato nel 1982 e nel 1985. Il segreto è il recupero, sapersi ricaricare mentalmente. Ma tra Giro e Tour, così come tra Tour e Vuelta c’è un mese di tempo, quindi abbastanza. Tuttavia molto è cambiato rispetto ai miei tempi. Il ciclismo in generale, intendo».
Quale la differenza principale tra il suo e questo ciclismo?
«Oggi si corre meno durante la stagione, si selezionano gli obiettivi. E ci sono meno attacchi da lontano rispetto alla generazione di Merckx o alla mia. Oggi, spesso, i corridori si accontentano di attaccare negli ultimi chilometri, hanno una paura terribile di saltare, tengono troppo spesso d’occhio i dati o badano troppo alle indicazioni delle radioline: i direttori sportivi tendono a mettere un freno al coraggio dei loro uomini, badano alla sostanza, anche ai piazzamenti. Un campione non dovrebbe farlo mai, deve anche rischiare di saltare per far saltare il banco. Questo azzardo era la sostanza del nostro sport. Ora le uniche differenze vere le fanno le crono».
Dunque, il ciclismo di oggi è malato di attendismo.
«Mancano gli attaccanti, i matti, le corse fatte pancia a terra dalla partenza. Mancherà, dalla prossima settimana, dato che lascerà le corse alla fine della Vuelta, uno come Contador, uno che con mezzi normali ha vinto moltissimo solo prendendosi dei grandi rischi».
Hinault sarebbe stato Hinault anche nel ciclismo di oggi?
«Avrei, come ho fatto ai miei tempi, preferito la competizione all’allenamento, quindi avrei corso molto di più e sicuramente avrei osato tanto: è sempre stata la mia indole».
Le guarda ancora le gare?
«Gli arrivi in montagna solamente, e non tutti, quando capita».
Sulle bici elettrificate che dice?
«Radiazione per i corridori se beccati e squalifica per le squadre».
Il ciclismo più bello è finito o c’è qualche speranza ancora?
«Liberiamo gli uomini dal dovere del risultato, lasciamoli liberi di fallire serenamente».