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 2017  settembre 06 Mercoledì calendario

Agnelli leader all’Eca ma il calcio italiano è un grande domino

TORINO Andrea Agnelli coltivava da tempo l’ambizione di diventare presidente dell’Eca, l’associazione che riunisce i principali club europei, e ieri a Ginevra l’ha realizzata, vincendo le elezioni per la successione di Kalle Rummenigge il quale, dopo aver regnato dal 2008, aveva indicato proprio Agnelli come delfino: «È l’uomo giusto». Lo juventino manterrà la carica fino al 2019, quando poi il mandato diventerà quadriennale. Tra i suoi vice c’è pure Edwin Van Der Sar, in rappresentanza dell’Ajax, mentre gli italiani hanno strappato anche la presidenza di due commissioni, quella del marketing (De Laurentiis) e quella delle competizioni (Gandini). Un eccellente risultato, nel complesso, anche se Agnelli ha subito spiegato che il vantaggio che ne ricaverà il calcio azzurro in generale e la Juventus in particolare «sarà zero. Lavorerò in rappresentanza di tutti». Il neo presidente continuerà a far parte del comitato esecutivo dell’Uefa, ma adesso avrà anche diritto di voto. Ha già accennato alle linee guida che intende seguire: riforma dell’Europa League, riduzione a due delle finestre dedicate alle nazionali (adesso sono dieci), definizione di nuovi principi di fair play finanziario e valorizzazione commerciale del prodotto calcistico, ispirandosi al modello americano.
I rappresentanti italiani nell’Eca (Fiorentina, Inter, Juventus, Lazio, Milan, Napoli, Roma, Sampdoria, Udinese) si sono schierati compatti a favore di Agnelli sostenendone la candidatura ed evitando frammentazioni, ma in verità la formazione di questo fronte non è stata così lineare. Fassone e Lotito, infatti gli hanno garantito l’appoggio anche (o soprattutto?) per importare quest’alleanza nelle complicate e machiavelliche faccende nel calcio di casa nostra. Nei due giorni di Ginevra, Agnelli e Lotito – ex nemici odiatissimi – hanno passato molto tempo assieme, dimostrando una certa confidenza che trasferiranno oggi a Milano, dove è in calendario un’assemblea di Lega che somiglia, in realtà, a un agguato al commissario Tavecchio, sfiduciato da questa nuova mescolanza di club che si è raggrumata attorno a Milan e Lazio e che ha calamitato anche la Juventus, ultimamente piuttosto oscillante nelle sue posizioni. Ma l’ultima che ha preso è pro Lotito (che spera in un posto nel consiglio federale, magari al fianco di Campedelli o di Pozzo più che di Marotta, poco entusiasta di una possibile candidatura) e anti-Tavecchio, che potrebbe venire disarcionato se la maggioranza trovasse i 14 voti necessari ad eleggere alla presidenza l’attuale segretario Marco Brunelli (e alla vice- presidenza Fassone). Il quorum è però in bilico, quattro società (Roma, Fiorentina, Bologna e Sampdoria) sono sicuramente dalla parte di Tavecchio, e delle riforme cui ha lavorato in questi mesi, e altre sei sono in bilico. Sassuolo e Inter (nonostante il pressante lavoro diplomatico di Agnelli su Zhang) vengono dati molto vicini alla minoranza, ma anche Napoli e Torino, oltre a Spal e Cagliari, potrebbero non accodarsi al filone lotitiano. Malagò, capo dello sport italiano, vorrebbe evitare ribaltoni: «Un presidente ponte in Lega A? Il commissario è stato istituito perché c’era un’impasse dovuta a evidenti impedimenti di carattere statutario: se questo discorso a distanza di oltre quattro mesi ritorna come prima e più di prima, onestamente qualcosa non quadra».