Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  settembre 06 Mercoledì calendario

«Sì, vado in pensione ma quel processo salta per colpa della riforma». Intervista a Salvatore Giardina

FIRENZE «Il ministro Orlando manda gli ispettori a verificare il calendario delle udienze per il processo sulla strage del rapido 904? Eh vabbé… Ho fatto il calendario a giugno, prima che intervenisse la nuova legge. E non ho in dote la previsione del futuro». Il giudice Salvatore Giardina allarga le braccia. Il presidente della terza sezione della corte d’assise d’appello di Firenze è finito al centro delle polemiche perché due giorni fa ha stoppato e rinviato a data da destinarsi il processo d’appello sulla strage del rapido 904, scatenando le ire di vittime e familiari. Motivazione: la riforma della giustizia Orlando gli avrebbe imposto di risentire tutti i testimoni del primo grado e non più soltanto i pochi ex boss chiamati dall’accusa. E siccome lui va in pensione a ottobre, ha deciso di lasciare tutto in mano al giudice che lo sostituirà. Una motivazione che il Guardasigilli contesta.
E lei come risponde?
«Prima di decidere dovevamo risentire solo i testimoni essenziali per la prova dichiarativa decisiva. Poi però è intervenuta la legge Orlando che ha modificato l’articolo 603 del codice di procedura penale. Prescrivendo, nel caso di appello del pm su una sentenza di assoluzione, la riapertura dell’istruttoria completa di tutti i testi, passati così da 6 a un numero ben più elevato. Non si poteva fare, prima che me ne andassi via».
Totò Riina, il capo dei corleonesi, imputato come mandante unico di una strage con 16 morti e quasi 300 feriti. Vittime e parenti in attesa da 33 anni dell’intera verità. E lei a ottobre se va in pensione anticipata. Perché?
«Mi sono stancato. La Corte d’Appello è diventata un collo di bottiglia, il carico di lavoro è esagerato e ormai qui si ragiona solo per statistiche e numeri, anziché badare alla qualità del lavoro. Funziona così, purtroppo».
La riforma della giustizia non vi ha facilitato il lavoro?
«Facilitato? Non solo la nuova legge non ci aiuta ma anzi complica ulteriormente le cose. Al ministero sono convinti, con questa modifica all’articolo 603, di aver recepito i dettami della Corte europea dei diritti umani e della Cassazione. Ma non è così: la precedente giurisprudenza diceva di riaprire l’istruttoria per la prova dichiarativa decisiva, quindi limitatamente ad alcuni testi. Invece le nuove norme dispongono la completa riapertura dell’istruttoria e ne allungano i tempi. Questa è la legge in vigore dal 5 agosto. Non l’ho decisa io».
Le vittime sono furiose. Conoscono gli esecutori materiali condannati in via definitiva ma non i mandanti. Ora lo stop al processo, con Riina gravemente malato.
«Rispetto il loro dolore, hanno la mia solidarietà. Dico loro che tutto si concluderà comunque tra pochi mesi. Il nuovo presidente verrà nominato in tempi brevi e fisserà il calendario velocemente. Se io avessi continuato a presiedere, l’istruttoria a un certo punto sarebbe stata interrotta per il mio pensionamento. Si sarebbe dovuto formare un nuovo collegio giudicante e allora sì che si sarebbe dovuto ricominciare tutto da capo. Lasciando ora, invece, non ho azzerato nulla perché in istruttoria non erano ancora stati ascoltati i 6 testi».
Non poteva aggiungere qualche udienza a settembre e chiuderlo lei, il processo?
«Impossibile: il giudizio di primo grado è durato 5 mesi».