la Repubblica, 6 settembre 2017
Putin: no altre sanzioni a Kim Trump arma Tokyo e Seul
XIAMEN Ricordatevi Saddam Hussein, dice Vladimir Putin. «Rinunciò alla produzione di armi di distruzione di massa e fu distrutto. La sua famiglia uccisa. Il paese demolito e lui impiccato. Lo sanno tutti. E lo sanno tutti in Corea del Nord». Lo sanno tutti che Putin parla all’amico-nemico Donald Trump e lo sanno tutti che lo Zar non muoverà un dito per fermare il grilletto di Kim Jong-un: o almeno non lo farà nei modi che vorrebbero gli Usa. «Le sanzioni sono inutili e inefficienti», dice stoppando ogni speranza che l’Onu possa stringere di più la borsa di Kim nel voto programmato per l’11 settembre. «Mangerebbero l’erba ma non tornerebbero indietro dal cammino che hanno intrapreso per la loro sicurezza». Ok: e la sicurezza del resto del mondo? Anche quella sta a cuore allo Zar, che invita appunto a non lasciarsi prendere dall’«isteria militare»: porterebbe «a una catastrofe globale».
Kim 1-Trump 0. Ma che ti aspetteresti da un incontro dove la terna arbitrale porta i nomi di Xi Jinping, Vladimir Putin e Al Sisi. La foto finale di questi Brics, il summit degli emergenti venuti a omaggiare il paese emerso per eccellenza, la dice lunga sull’altra metà del mondo pronto a papparsi la nostra. Assieme ai leader di Brasile, Russia, India e Sud Africa, al IX summit ecco qui invitati sotto l’inedita egida dei Brics Plus anche Egitto, Tagikistan, Guinea, Tailandia, perfino il Messico che dovrà trovare nuova casa da quando il solito Trump ha minacciato di demolire il condominio del Nafta, l’alleanza commerciale nordamericana.
È l’economia, bellezza: e Xi lo sa bene quando nel discorso finale, senza citare Trump, dice che «alcuni pasi sono diventati più isolazionisti, si impegnano meno nella cooperazione, e gli effetti si stanno facendo sentire». Il presidente Usa ha minacciato di tagliare i rapporti con i paesi che continuano ad averli con Kim: ma qualcuno gli ha ricordato che Pechino è il suo primo partner commerciale? Xi coglie il vuoto di leadership e si vede leader globale, ricorda che «gli accordi internazionali sono in stallo» e che «l’attuazione del patto sul clima di Parigi incontra resistenze»: a cominciare, andrebbe detto, da Pechino, dove l’aria continua a essere oltre tutti i limiti. «Dobbiamo parlare con una voce sola», dice: e se la voce parla mandarino, meglio.
Putin ci spiega la parabola, Xi ci fa la predica. E il leader del mondo libero? Trump arrangia in fretta una telefonata con il presidente sudcoreano Moon Jae-in che si sente scavalcato dalla linea diretta tra Washington e Tokyo. Pyongyang mostra la Bomba? Trump chiama Tokyo. E poi accusa Seul di essere troppo debole col Nord. La cosa peggiore: gli alleati che litigano tra loro, mentre Kim prepara il lancio di un nuovo missile e forse anche del settimo test nucleare. Sposta i missili pronti per il lancio, sistema i tunnel nella montagna maledetta di Punggye-ri. Che fare? Trump tweetta tutto contento che ha concesso a Seul sotto scacco di “comprare” nuovi armi Usa.
Si riarmano anche i giapponesi, che sarebbero pacifisti per costituzione dopo il disastro di Hiroshima: ma se la Bomba di Kim vale 6-Nagasaki-6 qui di che ci scandalizziamo? Anche la Russia di Putin, tra una parabola e l’altra, annuncia che aumenterà l’impegno militare laggiù. Occhio però: altri «regali» sono in arrivo, dice il delegato nordcoreano all’Onu, rilanciando la simpatica battuta del Giovane Maresciallo, che umiliò gli Usa lanciando il suo supermissile proprio il 4 di luglio, giorno dell’Indipendenza, come personalissimo «regalo».
Ricordatevi di Saddam Hussein, dice Putin. E chi se lo dimentica più.