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 2017  settembre 04 Lunedì calendario

Intervista a Mario Sconcerti. «Pochi talenti nuovi, ci sopravvalutiamo»

Snocciolare il curriculum di Mario Sconcerti richiederebbe mezza giornata. Basti sapere che si tratta senza ombra di dubbio di uno dei più importanti giornalisti sportivi del nostro tempo. 
Fiorentino, classe 1948, dal 2006 è prima firma sportiva del Corriere della Sera mentre, dopo la fine dell’esperienza da direttore generale della «sua» Fiorentina, ha iniziato a calcare i palcoscenici televisivi come opinionista, prima con Stream, poi con Sky e ora con la Rai, dove partecipa a trasmissioni storiche come 90o minuto, La domenica sportiva e i pre e post partita della Coppa Italia. 
Dopo l’umiliazione contro la Spagna l’Italia di Ventura non esiste già più? 
«La nostra nazionale vive un momento che non abbiamo mai vissuto. Hanno difficoltà anche i giovani perduti in mezzo a piccoli maestri. Con l’assuefazione di Bonucci, l’età di Barzagli e la resistenza eccessiva di Buffon siamo ormai anche senza la grande vecchia guardia abituale. E la cosa peggiore della gara contro la Spagna è stata la normalità di Insigne, il nostro migliore, ma uno qualunque contro grandi avversari». 
Giocare largo a sinistra nel 4-2-4 non l’ha aiutato... 
«No, ma è giusto dire che alla vigilia eravamo tutti d’accordo con Ventura. Il quale ha commesso lo stesso errore che facciamo tutti da anni: ha sopravvalutato l’Italia». 
Veniamo agli affari di casa nostra. Per lei i numeri contano perché “il calcio ha una sua logica”. Allora eccole un numero: il giro d’affari del mercato di Serie A appena concluso ha superato il miliardo di euro. Cosa significa? 
«Significa che dal punto di vista della capacità di spesa il nostro campionato è in ripresa. Ma grazie ai soldi degli altri. Non c’è più una grande squadra italiana che sia di proprietà di aziende italiane. Non l’Inter, non il Milan, non la Roma. La Juve la veda come vuole, se vuole giudicare la Fiat italiana, ma quello è tutto un fatto particolare. Solo il Napoli fa eccezione. Quindi sì, siamo in ripresa noi come squadre di club, non so quanto lo siamo come Italia». 
Se non altro qualcuno che sia tornato ad investire in Italia c’è. E il livello di competitività può aumentare, non crede? 
«In linea di principio sì, ma mi dica lei, di grandi giocatori europei chi è arrivato?» 
Ah, ribaltiamo i ruoli? 
«No, mi spiego: il Milan ha speso 230 milioni, ma a parte Bonucci che ha avuto una sua eco particolare nei nostri confini non è riuscita ad arrivare a nessun top player. L’Inter ha dovuto prendere i centrocampisti della Fiorentina. La Roma ha venduto giocatori più importanti di quelli che ha preso. C’è dunque un grosso svantaggio in tutto questo....» 
Cioè quale? 
«Che al momento non ci sono grandi giocatori. Ci sono molti buoni giocatori, ma pochissimi fuoriclasse. Per cui finiscono per costare molto cari giocatori che non avrebbero le caratteristiche per valere certe cifre». 
L’esempio del Psg fa giurisprudenza. Spendendo 400 milioni per Neymar e Mbappé hanno in qualche modo fatto lievitare le quotazioni di tutti gli altri... 
«Non c’è dubbio. Viene ridefinita anche la gerarchia dei club. Il Barcellona ha incassato diversi no, così come il Chelsea di Conte. Squadre che fino a un paio di anni fa avrebbero attratto calciatori solo sentendo il loro nome. Prima dell’arrivo di Al Thani il Psg aveva vinto un solo scudetto. È la squadra di un paesino, Saint Germain en Laye. Parigi praticamente è una città senza squadra. In questo senso è come passare da una squadra di Roma a una di Ostia. Sarebbe stato uno scandalo. Ma la realtà dei fatti ora è questa. Sono periodi». 
Tornando allora alla Serie A, avere diverse società in grado di spendere non può aver ridefinito le gerarchie? E non penso solo alla Juve che magari potrebbe essere uscita un po’ indebolita dal mercato... 
«Questo lo dice lei». 
Be’, lo dicono anche i “suoi” numeri. Ha incassato 5 gol in 3 partite ufficiali e ha perso la Supercoppa. Per non parlare del precampionato... 
«A me sembra invece che l’assenza di Bonucci sia stata riequilibrata dall’arrivo di altri grossi giocatori. Se devo pensare a quale sia la squadra più completa penso ancora alla Juve senza dubbio». 
Quindi il campionato finirà come al solito? 
«Non per forza. La Juve è indebolita, ma non per le ragioni che dice lei. È indebolita dal fatto di aver vinto sei volte. C’è il Napoli però che, a riprova di ciò che dicevo, ha acquistato forza pur non comprando nessuno». 
E la sua Fiorentina? Anziché mantenere ha rivoluzionato tutto. 
«È l’immagine della difficoltà di una società senza un grande bacino d’utenza che viene pian piano tagliata fuori dall’aumento dei grandi costi del calcio. Siamo ritornati alle selezioni storiche». 
A livello societario le cose però sono molto cambiate dai tempi in cui lei era il direttore generale con Cecchi Gori. Ora qual è, di fatto, il ruolo del dg? 
«L’importanza del direttore generale aumenta per il semplice fatto che i presidenti non ci sono più e le proprietà straniere non conoscono la gente. Fino ad oggi in cento anni di calcio eravamo stati abituati a un rapporto quasi di pelle tra tifosi e presidenza. Oggi se un club non fa mercato un tifoso non può certo andare sotto casa del patron cinese, canadese, americano...» 
E il dg fa il parafulmine
«Deve essere sempre più bravo a fare le veci “fisiche” del presidente». 
C’è però di nuovo il rischio di rivedere diverbi come quello che ebbe lei con Giancarlo Antognoni? Col tempo avete chiarito? 
«Quello fu un caso tutto particolare. Fu un momento molto difficile e probabilmente sbagliai. Non siamo persone rancorose, abbiamo continuato ad essere amici». 
Calciatori bandiera come lui vengono inseriti sempre più spesso nei quadri societari... 
«È un altro tipo di problema. I dg sono dei tecnici. Quindi si sente l’esigenza di affiancargli gente che ha fatto quel mestiere. Poi se sia giusto o sbagliato non lo so». 
Come ha accolto l’introduzione del Var? 
«Il primo risultato è che non ha cancellato le moviole, le ha anzi rilanciate. Ora ci sono quelle sul Var. È un marchingegno che non dà certezze, è semplicemente un aiuto. Diffiderei dell’entusiasmo attuale manifestato dagli arbitri». 
Ma li aiuta parecchio, no? 
«In realtà non hanno capito che a rimetterci saranno soprattutto loro. Il Var non discute ogni volta che le loro stesse decisioni». 
Vista la carriera che ha fatto ha praticamente vissuto ogni tipo di cambiamento nella comunicazione giornalistica. Fino a questo periodo in cui si divide tra carta stampata, tv e finendo di riflesso a dover fare i conti con i social. La frase “Cristiano Ronaldo alla Juve farebbe panchina” le ha aperto le porte degli insulti virtuali. Com’è cambiato il mondo dell’informazione? 
«Quella fu una frase volutamente provocatoria. Non mi aspettavo che diventasse un dibattito nazionale. Non ho mai pensato né scritto che Mandzukic sia meglio di Ronaldo, ho pensato e penso che Ronaldo non potrebbe fare quello che Mandzukic fa nella Juve. Sinceramente nella comunicazione sportiva non ho trovato cambiamenti. I social sono personali. Non è giornalismo. Anzi. Il compito di cercare notizie è rimasto ai grandi giornali tradizionali».