Libero, 4 settembre 2017
«Il segreto dei miei 100 anni: tanti libri, niente mariti e figli»
Una persona che legge un libro alla settimana suscita invidia. Se però la persona in questione ha cento (sì, cento) anni, l’invidia tende a scomparire per essere sostituita da una stupefatta ammirazione. Quella che è inevitabile riservare a Virginia Profili, da tutti chiamata Ninni, la quale è venuta al mondo il 28 giugno del 1917 ma seguita appunto a leggere, di media, un libro ogni sette giorni.
E se fosse per lei, ci informa mentre conversiamo nella sua bella casa romana al quartiere Parioli, di libri ne leggerebbe anche qualcuno in più. Ma c’è una cosa che glielo impedisce. Crisi di stanchezza? Qualche inesorabile acciacco? Niente del genere: la colpa è dei quotidiani. «Hanno troppe pagine», spiega, «e per leggerli come si deve ci vogliono ore. Aggiungici inserti e supplementi... Dovrò iniziare a dedicargli meno tempo».
Lucidissima, memoria d’acciaio, Ninni Profili vive attualmente con una badante moldava di nome Victoria, ma se le fate una telefonata potete stare sicuri che al telefono risponderà direttamente lei.
Dov’è nata?
«A Livorno, ma i miei erano originari di Pescia. Sono l’ultima di tre fratelli, di cui la maggiore era una femmina e quello di mezzo un maschio. Mia madre era casalinga mentre mio padre, dopo aver brevemente tentato la carriera giornalistica frequentando a Firenze il caffè Le Giubbe Rosse, si era impiegato in una società elettrica di Livorno per poi passare alla Te.Ti., azienda telefonica che operava nel centro Italia e in Liguria. Dal 1926, con l’approdo di mio padre alla Te.Ti., ci siamo spostati da Livorno a Firenze e lì ho compiuto tutti gli studi fino alla laurea in Scienze Naturali».
Ha avuto un’infanzia felice?
«Posso dire di aver vissuto nella più completa lietezza fino al 1942, quando a soli 26 anni è morto mio fratello. Da quel momento mia madre, che era uno spirito sempre allegro, diventò un’altra persona».
Cosa accadde esattamente?
«Mio fratello si ammalò di tifo mentre era in Albania come militare. Tornò in Italia che stava già male ma volle comunque ripartire per Belgrado. Si fece visitare a Mestre, dove non lo ricoverarono, e quando giunse a Belgrado la situazione era ormai compromessa. Dopo qualche tempo un generale si recò a Mestre per verificare eventuali responsabilità, ma nel registro delle visite dell’ospedale militare le pagine relative a mio fratello erano state strappate».
Il vostro arrivo a Roma a quando risale?
«Al 1943. Mussolini voleva che tutte le direzioni delle grandi società fossero concentrate nella capitale e così ci dovemmo trasferire. Ci stabilimmo in una traversa di Via Po, nel quartiere Salario. Alla fine di luglio, a causa dei bombardamenti alleati, riparai però a Pescia, dove mia madre e mia sorella si erano già recate da qualche giorno. Presi il treno il 25 luglio, giorno della caduta del regime. Alla Stazione Termini gli scalpellini buttavano giù gli stemmi del fascismo».
Non ha mai pensato di sposarsi?
«Certamente. Un giorno, però, nel 1950, colui che è andato più vicino a diventare mio marito mi propose le nozze nel modo sbagliato e io mi tirai indietro».
Che errore commise?
«Mi disse: io guadagno questa cifra, tu quest’altra, unendo le nostre risorse economiche possiamo pensare di sposarci».
Che c’è di male?
«All’epoca, se una donna si sposava, considerava implicito smettere di lavorare ed essere mantenuta dal marito. Era successo così a tutte le mie amiche. Rimasi sconvolta e da allora non ho più davvero pensato al matrimonio».
Essere stata single potrebbe avere contribuito a farla vivere così a lungo.
«Ci ho pensato molte volte, credo di sì. Ricordo mie colleghe che mi dicevano, stressatissime: ora che torno a casa devo rifare il letto, pulire il balcone, preparare la cena... Io non avrei mai potuto farlo».
E l’idea di un figlio non l’ha mai attratta?
«Avendo fatto l’insegnante, ho appagato almeno in parte questo tipo di esigenza attraverso il rapporto con gli studenti».
In cosa sono consistite, per lo più, le sue giornate?
«Ho sempre coltivato tanti interessi culturali: la lettura, il cinema, soprattutto il teatro. Un periodo sono stata abbonata a cinque teatri diversi contemporaneamente».
Ha avuto modo di frequentare qualche personaggio celebre?
«Carlo Azeglio Ciampi è stato mio amico fin dall’infanzia, a Livorno. A Roma veniva sempre da me a giocare a bridge insieme alla moglie Franca. Poi, a metà degli anni Sessanta, ho avuto come alunno al liceo classico Orazio il futuro regista Giancarlo Sepe. Ho cercato di favorirlo in tutti i modi nella sua attività teatrale, era chiaro che avesse talento».
Non è mai stata visitata dalla noia?
«No, ho avuto la fortuna di vivere sempre in una condizione di libertà e di autosufficienza, e questo ha contribuito a far sì che ogni giorno mi sia sempre parso fornito di un senso. La depressione non mi ha mai afflitto».
Ha mai seguito qualche dieta?
«No. Non ho mai avuto vizi particolari e penso di essermi sempre nutrita con misura, ma mangio qualunque cosa e tuttora mi piace bere del vino durante i pasti».
Sport?
«Mai praticati. Sono troppo pigra e non amo ciò che richiede un’eccessiva programmazione».
È credente?
«Sì, sono stata educata nel cattolicesimo».