Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  settembre 04 Lunedì calendario

«Chi fugge dalla miseria la porta tutta a noi». Intervista a Giulio Tremonti

«Sono al Forum Ambrosetti ma di economia non parlo, altrimenti... Il mio tema qui è quello dell’immigrazione, anzi è più corretto dire delle migrazioni. Mi permetto di ricordare che la legge tuttora vigente in Italia l’abbiamo fatta io, Berlusconi e Bossi nel 1999, quando tutto doveva ancora cominciare. Fini arrivò molto dopo e ci mise solo le sanzioni. La sinistra critica quella norma da vent’anni, ma se è così sbagliata spieghi perché se la tiene». Il senatore Tremonti a Cernobbio è di casa e si gode il successo del suo «Rinascimento», il libro scritto con Vittorio Sgarbi. Appena uscito, ha già superato quello di Renzi nelle vendite su internet ed è stato letto come qualcosa di più di un’opera libraria, quasi un manifesto politico. «Ma fino al 13 settembre del libro non parlo», precisa il senatore. 
Parliamo di migrazioni dunque: lei condivide l’affermazione del ministro Minniti secondo cui la situazione prima del suo intervento in Libia era tale da legittimare timori per la tenuta sociale e democratica del Paese o la ritiene, per dirla all’inglese, piuttosto esagerata? 
«Probabilmente il ministro non si riferiva alla tenuta della democrazia di fronte ai continui sbarchi ma piuttosto a quella del Partito Democratico, e in questa logica aveva ragione a temere per la tenuta della sua parte». 
La sinistra si è rivelata impreparata a gestire l’emergenza? 
«L’impressione è che sia mancata la corretta valutazione di un fenomeno serio e drammatico, ad altissima intensità politica e storica. Sono vent’anni (Google non perdona, può verificare se crede) che la classe dirigente non solo italiana ma anche europea, e comunque di tutta la sinistra, scambia il problema per la soluzione. È passata dalla modalità atarassia-sottomissione a quella dell’illusione, per finire alla soggezione. Prima ha negato l’esistenza del fenomeno, poi ha sostenuto che era salvifico, perché gli extracomunitari ci avrebbero pagato le pensioni e avrebbero fatto i lavori che non vogliamo più fare, infine si è arresa e ha dichiarato che le migrazioni sono ineluttabili e ha cercato di assecondarle con lo ius soli, figlio di una tipica concezione giacobina della società. Con il massimo rispetto per i giacobini, che avevano una loro grandezza. Tutto questo processo è in antitesi con i principi del centrodestra». 
Quindi ha ragione chi dice che Minniti in realtà è di destra perché ha fermato gli sbarchi? 
«Quello lo dice Crozza». 
Perché ritiene lo ius soli una legge giacobina? 
«Da secoli le organizzazioni politiche europee si compongono di tre elementi che non possono esistere l’uno senza l’altro: patria, nazione e Stato. La patria è dove riposano le ossa dei genitori, la nazione è storia, lingua e cultura, lo Stato è la sovrastruttura politica. La cittadinanza dovrebbe essere il risultato della combinazione di queste tre componenti di base. Ma se, come nel caso dello ius soli, essa è fatta discendere dall’alto, quasi ignorando tutto il resto, per decisione statale, essa diventa figlia solo della logica di costruzione artificiale di una società ideale tipica del giacobinismo». 
C’è chi la chiama boldrinismo... 
«Ripeto: i giacobini erano terribili ma meritano rispetto». 
Lei è convinto che questa pretesa di ingegneria sociale costituisca in qualche modo una violenza sulla società e sui cittadini? 
«Alla base dell’ideologia sociale giacobina c’è che il potere disegna e costruisce “Le vite degli altri”. Ma il giacobinismo conosce forme di espressione ancora più ampie». 
Per esempio? 
«Quando i nostri governi si vantano taroccando i dati sull’occupazione o cantano vittoria attribuendosi quelli del Pil, svelano la presunzione di essere al centro di tutto. Ma perfino Stalin escludeva che il Pil dipendesse dai decreti del governo e lo faceva risalire agli stakanovisti, alle fabbriche e ai raccolti. In realta un governo, se sbaglia, può fare molto male al Pil, e non apro capitoli dolorosi, ma pensare che esso possa essere il motore principale della crescita è puro giacobinismo. L’economia va spiegata illustrando i nessi causali, non giustapponendo i dati in modo casuale. Questo governo invece, quando parla dei propri successi in economia è come il selvaggio di Kant che dice che il sole è sorto perché lui si è svegliato». 
Non mi ha detto se la convince l’accordo del governo con la Libia per fermare le partenze di immigrati: è risolutivo o è un pannicello? 
«L’impressione è che sia un rimedio, non una soluzione. Già è sbagliata la parola: non si dovrebbe parlare di immigrazione, fenomeno drammatico ma limitato, bensì di migrazioni, qualcosa che non riguarda gli individui ma i popoli. Non ci dice niente la storia del paradiso terreste? Forse non si spiega solo con la mela ma con la tendenza millenaria dei popoli a spostarsi cercando migliori condizioni di vita. Nel 1995 ho scritto un libro, “Il fantasma della povertà”; allora si pensava che la globalizzazione riguardasse i mercati e non anche i popoli ma io sostenevo che la televisione, che trasmetteva in Africa le immagini del nostro benessere, agiva già da motore virtuale della vendetta coloniale, che in breve avrebbe portato milioni di persone a trasferirsi in Europa». 
Dove sta sbagliando la sinistra? 
«Non ha mai creduto al teorema “Aiutiamoli a casa loro”. Da qui, la gestione degli immigrati nella logica della difussione sul territorio e la follia dello ius soli. In questi anni è completamente mancata ogni tipo di visione». 
Che cosa aveva in testa lei quando scrisse la cosiddetta Bossi-Fini ormai quasi vent’anni fa? 
«Non puoi gestire il fenomeno immigrazione all’europea. “Aiutiamoli a casa loro” è una frase che dissi io nel 2000 alla Camera ma il mio progetto di De-tax è stato rifiutato dall’Europa. Bisognava sviluppare in Africa l’impresa coinvolgendo il volontariato. Se tu compri in Italia in un negozio impegnato nella solidarietà un paio di scarpe, un punto di Iva anziché all’Europa, sarebbe dovuto andare via volontariato in Africa. Ma l’Europa ha sostenuto che l’Iva era tutta sua e ha preferito finanziare diversamente l’Africa. Solo che è folle dare i soldi ai governi e ai leader africani: li portano in Svizzera o comprano armi ma non li investono nello sviluppo del loro Paese». 
Con il piano Minniti però gli sbarchi si sono davvero fermati... 
«E qui arriviamo al secondo errore. Il governo si vanta delle statistiche sul calo degli immigrati ma aspettiamo quelle sull’aumento della violenza nel nostro territorio. Il punto non è trattare con i sindaci libici ma con i sindaci italiani. Nella politica migratoria interna vedo un limite essenziale: l’idea che la soluzione sia distribuire chi arriva in tutto il territorio, ignorando che più diffondi, più crei attriti. Il dogma dell’accoglienza diffusa è indice che non si è capito nulla del problema. Costringere consistenti parti di cittadinanza impaurita a convivere con masse di migranti che vengono alienati e abbandonati a loro stessi con un telefonino, produce il risultato che ci sia insofferenza da una parte e aggressione dall’altra. Paura e alienazione, che arrivano perfino nei piccoli centri, sono una miscela socilae esplosiva». 
Avverte un’emergenza razzismo in Italia? 
«No, perché la nostra è una grande civiltà, ma la scelta della distribuzione è demenziale; crea i presupposti del conflitto: alienazione, disorientamento e isolamento. I telefonini in tasca non sevono a nulla, e intanto cresce la reazione contro la sensazione che con 36 euro al giorno più vitto e alloggio, molti immigrati stiano meglio dei nostri pensionati e dei giovani più o meno occupati. Non ci rendiamo conto che, anziché aiutarli, facciamo solo male ai migranti perché li mettiamo in condizione di farsi odiare: da un lato moltiplichamo la paura degli italiani e li esponiamo ai suoi effetti, dall’altro li rendiamo vittime di qualsiasi cosa di irrazionale che, viste le condizioni in cui vivono, possono fare». 
Quanto peserà l’immigrazione nelle prossime elezioni? 
«Ho l’impressione che il Pd si sia fatto un autogol. Se sei un sindaco del Pd e accetti di collocare una quota di immigrati, poi perdi le elezioni. Infatti molti sindaci del Pd si rifiutano di farlo, ma presto a rifiutare tutto il pacchetto saranno gli elettori. Renzi non si illuda: la tenuta dei voti del Pd non passa dai numeri taroccati sul lavoro ma dall’emergenza immigrati. La fallita integrazione sarà un boomerang». 
Ma perché l’Italia fatica così a riprendersi economicamente? 
«La caduta del Pil italiano corrisponde in modo diretto alla moltiplicazione delle sue leggi. All’inizio c’erano il miracolo economico e 4 codici, molto belli e snelli. Oggi il miracolo è finito e in compenso è iniziata l’alluvione integralistica e giacobinia delle leggi. Se si aggiunge che l’eccesso di legislazione si combina con un eccesso di tassazione e di tributi regolati da norme incomprensibili, ecco spiegato perché non ci riprendiamo. Prima di distribure il pane, devi produrlo. Lo Stato italiano va in controtendenza». 
Chi ha creato il mostro? 
«La tendenza all’espansione dello Stato e della politica, il giacobinismo, l’idea che il collettivo sia superiore all’individuo, lo Stato sia meglio del privato e le élite debbano occuparsi, dopo aver fatto il proprio bene, di quello degli altri e guidare il Paese. Al posto delle libertà si è introdotto il potere politico nella vita economica e privata di tutti. Basta vedere, per esempio, cosa ha fatto il ministro Calenda con il riordino delle libere professioni e l’introduzione dell’obbligo di presentare un preventivo scritto e dettagliato prima di ogni prestazione. L’effetto è la paralisi e l’alterazione del rapporto tra professionista e cliente. Una volta le professioni si chiamavano liberali, oggi di liberale non c’è nulla». 
Stiamo parlando di una rivoluzione etica? 
«Un tempo l’etica derivava dalla storia, dai costumi e dal rispetto reciproco, oggi è imposta per legge: l’etica legale sarà l’unico elemento a definire i rapporti tra professionista e cliente e le regole della concorrenza. Il decreto Calenda per ora riguarda solo le professioni liberali ma si estenderà esteso presto ad artigiani e piccoli imprenditori. In nome della concorrenza e del consumo è stato istaurato il comunismo, che oggi regola un rapporto che prima era privato, senza neppure che questo sia stato imposto dall’Europa». 
Per tornare al suo libro, siamo alla vigilia di un Rinascimento? 
«Il Rinascimento fu un fiotto di vita contro la tirannide e i pregiudizi. Una risposta di libertà e pensiero all’oscurantismo del Medioevo. Credo siano maturi i tempi per una reazione alla tirannide. Noi si può vivere a lungo in un sistema giacobino che poi non ci riesce ad autogovernarsi». 
Da lombardo, politico ed economista, cosa voterà il 22 ottobre al referendum per l’autonomia regionale della Lombardia? 
«Voto Sì, non ho dubbi. Voterei Sì anche se fossi al Sud. Peraltro sono convinto che il Mezzogiorno sia stato tradito dall’Europa. Il Trattato di Roma del 1957 prevedeva nel suo “Protocollo meridionale” che per dieci anni il Sud restasse fuori dalle regole vincolanti del mercato e avesse una fiscalità di vantaggio, più o meno come oggi ha l’Irlanda. Ma non è mai stato così». 
L’Europa ha iniziato presto a tradire Roma... 
«A partire dagli anni Novanta, dall’Atto Unico, l’Europa ha tradito se stessa. Non è diventata una vera confederazione di Stati e per conseguenza oggi si presenta come un cimitero di ricordi. De Gasperi e Adenauer non guardavano a Bismarck ma al futuro. Questi di oggi guardano al passato perché incapaci di guardare al futuro». 
A Cernobbio francesi e tedeschi hanno rivendicato il ruolo guida dell’asse Berlino-Parigi ipotizzando un ministro delle Finanze Ue... 
«Una grande idea. Si dimentica che la democrazia è inizata con il principio “no taxation without rrpresentation”, questi invece vorrebbero avere tasse senza rappresentanza».