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 2017  settembre 05 Martedì calendario

Missili e gas, ecco perché nessuno vuole la guerra

XIAMEN. Arrivano i B-2? I ragazzi sono già pronti e non c’è neppure bisogno che Donald Trump prema il temibile bottone. La “forza massiccia” che il segretario alla Difesa Jim “Cane Matto” Mattis ha promesso a Kim Jong-un non prevede, e ci mancherebbe, l’utilizzo del nucleare. Almeno in partenza. Perché il gioco di indovinare come possa andare davvero a finire l’ha fatto pochi giorni fa un giornale austero come l’Economist: e il penultimo atto vede l’incubo del fungo alzarsi sulla Corea del Nord. Perché penultimo? Perché nessuno può assicurare quale possa davvero essere l’ultimo. Per esempio: quella nuvola atomica che allora, dalla Corea, comincerebbe pian pianino a strozzare anche la Cina promette malissimo.
GLI OBIETTIVI
Sono dunque pronti i ragazzi dei B-2 e quelli dei jet invisibili, gli F-35 e gli F-22, che per l’occasione potrebbero essere accompagnati dagli F-15 e F-16 dei coreani del sud e dei giapponesi: una mini “coalizione dei volenterosi” incaricata di impartire una lezione a Kim.
E qui comincia il problema numero uno: che tipo di lezione? Gli Usa, giurano gli esperti, potrebbero davvero “colpire chirurgicamente”, come si dice da almeno trent’anni. Ma colpire chi: e soprattutto che cosa? L’elenco è il solito: siti di lancio dei missili, siti nucleari, infrastrutture militari. Vogliamo davvero dare una lezione? Prendiamo nel mirino Wonsan, prendiamo nel mirino Kalma: basterebbe colpire un missile in partenza da laggiù per stravolgere i piani di Kim. Ma dopo?
LE IPOTESI
Gli esperti di Atlantic hanno riassunto tre tipi di scenari. Il primo è un attacco condotto dal largo: l’ipotesi appunto dei Tomahawk lanciati da navi o sottomarini come successo contro la Siria – poco più di un blitz. Il secondo è il più classico attacco aereo – che però già comporterebbe affrontare l’agguerrita difesa del nord. Il terzo è l’opzione hitech: dallo sganciamento di un GBU-43 Massive Ordnance Penetrator, la cosiddetta “madre di tutte le bombe” che gli Usa hanno sperimentato per la prima volta in Afghanistan, potenza esplosiva da undici tonnellate di Tnt, l’ordigno più potente in mano agli yankees (dopo, c’è solo l’Atomica). Naturalmente la tesi accreditata dai falchi è un’altra: attacchiamo con l’ipotesi numero 1, 2 e 3. Tutte insieme. I missili cruise che arrivano dal mare, gli F-228 che tagliano la difesa aerea nordcoreana e i B-2 che picchiano come un basso, schiacciando ogni possibilità di reazione.
LA REAZIONE
Peccato che la Corea del Nord non sia la Siria di Assad o l’Afghanistan dei Taliban. E che per rispondere per le rime Kim non avrebbe neppure bisogno di usare la sua nuovissima Bomba, quella testata domenica. Basterebbe dare il via immediato alla ritorsione con armi tradizionali. I 10 milioni di abitanti di Seul continuano a prosperare a tre quarti d’ora dal 38esimo parallelo: una cinquantina di chilometri. Dietro la zona demilitarizzata imposta dopo l’armistizio del 1953 è pronta a esibirsi l’artiglieria. Che avrebbe neppure bisogno di puntare al quartier generale sudcoreano di Gyeryongdae o al centro di smistamento Usa di Osan: con un raggio d’azione di 200 km si fa fuoco dove si può. E poi è vero: molte dotazioni sono arretrate e secondo gli americani il 15% dei proiettili esploderebbe in partenza. Ma il Nord può contare comunque su 8mila pezzi tra cannoni e lanciatori e almeno un migliaio di missili balistici capaci di colpire il Sud. Potenti quanto?
LE INCOGNITE
Una singola salva nordcoreana farebbe piovere «più di 350 tonnellate di esplosivo sulla capitale sudcoreana: quasi la stessa quantità di artiglieria sganciata da 11 bombardieri B-52». Lo scrivono gli stregoni di Sratfor, il think tank militare. Che si spingono anche a ipotizzare le due possibile reazioni di Pyongyang. Il primo è il contrattacco classico: ci si riversa sugli obiettivi sudcoreani e magari anche americani vicini al confine. L’altro è il contrattacco simbolico: obiettivi civili, infrastrutture, una reazione capace comunque di creare lo shock nella popolazione. Steve Bannon, l’ex stratega licenziato da Donald Trump, una cosa giusta l’ha detta prima di levare il disturbo: l’opzione militare sarà possibile quando mi assicurerete che nella prima mezz’ora non muoiano dieci milioni di sudcoreani. Mezz’ora no, ma Sam Gardiner, un colonnello in pensione dell’Air Force, ha stimato un milione di vittime nelle prime 24 ore. E dunque?
Dice a Repubblica l’esperto Hong Yuan della Chinese Academy of Social Sciences: «Dopo l’ultimo test lo spettro di una guerra nucleare è diminuito invece che aumentato. Oggi Pyongyang ha la capacità di reagire sia con le armi tradizionali che con quelle nucleari. Gli Usa vogliono provare a distruggere il suo arsenale? E come fanno a trovarlo in un territorio montuoso all’85%? Nascosti chissà dove».
È l’amara verità: nascosti chissà dove. Proprio come le soluzioni di questa crisi.