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 2017  settembre 05 Martedì calendario

Nelle nuove carte dal Cairo neanche l’ombra dei killer. La svolta su Giulio non c’è

ROMA La svolta non c’è. E non ci sarà. I poliziotti dello Sco e i carabinieri del Ros stanno ultimando in queste ore la traduzione degli atti arrivati dalla procura generale del Cairo ma quello che doveva emergere è già emerso: i verbali dei dieci agenti della municipale e della National security che in qualche modo hanno avuto a che fare con Giulio Regeni, poche decine di pagine, non contengono alcuna ammissione rilevante, probabilmente molte bugie e poco più. «Qualche elemento dal quale potrà venire fuori qualcosa di utile, forse, c’è» dice, speranzoso, uno degli investigatori. In particolare qualche numero di telefono grazie al quale potranno essere ricostruiti contatti e spostamenti utilizzando quelle tecnologie italiane che fin qui hanno permesso gli unici passi avanti compiuti nell’inchiesta sul sequestro, la tortura e la morte di Giulio Regeni. Niente, però, che possa far pensare a un imminente svolta verso la verità. In sostanza: noi rimandiamo in Egitto l’ambasciatore. Ma l’Egitto, per il momento, non ci ha consegnato gli assassini di Giulio.
LA COLLABORAZIONE
Eppure, ancora ieri al Senato, il ministro degli Esteri Angelino Alfano ha spiegato che la scelta di annunciare il rientro dell’ambasciatore il 14 agosto non è stata una furbata per sfruttare le «vacanze» dell’opinione pubblica. «Ma una scelta dettata – ha affermato – dalle due Procure che hanno diramato quel giorno il comunicato nel quale si parlava di importanti passi in avanti». In realtà la questione è più complessa. La procura di Roma ha dovuto scrivere quel comunicato in tutta fretta perché nessuno si aspettava che gli egiziani dopo mesi di silenzio inviassero i documenti promessi proprio alla vigilia di Ferragosto. E hanno parlato di «passi in avanti» per una questione di forma più che di sostanza: pur non conoscendo il contenuto degli atti, non potevano non registrare il cambio di registro, con la Procura generale del Cairo che rispondeva alla rogatoria dopo cinque mesi e, per la prima volta in un anno e mezzo, invitava i magistrati italiani in un vertice operativo al Cairo. A fine mese, infatti, dovranno vedersi per cercare di recuperare le immagini delle telecamere di sorveglianza della metro di Dokki, dove Giulio è stato inghiottito per sempre. Quei frame erano stati cancellati. Ora una società russa, scelta dagli egiziani (che, dopo mesi, all’ultimo minuto hanno bocciato la società tedesca proposta dagli italiani) proverà a recuperarli.
INTERROGATORI IMPOSSIBILI
Eppure il vero «passo in avanti», la svolta, potrebbe essere lì a un passo. Gli italiani hanno i nomi dei tre agenti che certamente sanno qualcosa, non fosse altro perché hanno già mentito, sulla sparizione e la morte di Giulio Regeni. Il colonnello Osan Helmy, il colonnello Sharif Magdi Ibrqaim Abdlaal e il colonnello Mahmud Hendy sanno infatti cose che fin qui non hanno mai detto.
La procura di Roma ha chiesto di interrogarli direttamente, o di partecipare alle loro audizioni, ottenendo però un «no» secco da parte delle autorità egiziane. Le stesse che avevano promesso alla famiglia di Giulio, al loro avvocato Alessandra Ballerini, il fascicolo processuale che, invece, a oggi non è stato ancora consegnato.
Osan Helmy, hanno dimostrato i tabulati telefonici sviluppati in Italia da Sco e Ros, è uno degli agenti della National Security che aveva arruolato l’ambulante Mohammed Abdallah, il sindacalista che ha “tradito” Giulio registrandolo con una telecamera nascosta dei servizi egiziani nel gennaio del 2016. Helmy è lo stesso che, due mesi dopo, accolse in aeroporto gli agenti inviati dall’Italia negando loro che né lui né i suoi colleghi avessero mai sentito pronunciare prima del ritrovamento del cadavere il nome di Regeni.
Della squadra che ha spiato Giulio faceva parte anche Sharif Magdi Ibrqaim Abdlaal. È lui che Abdallah chiama subito dopo l’incontro con Regeni per consegnargli la telecamera nascosta. Ed è lui, hanno documentato le indagini difensive dell’avvocato Ballerini e dei suoi colleghi egiziani, che aveva falsamente accusato e arrestato costringendolo a quasi sei mesi di carcere, Mohammed Abdallah, consulente della famiglia Regeni (e solo omonimo del sindacalista traditore). Infine, Mahmud Hendy è l’ufficiale che aveva collocato i documenti di Giulio a casa del capo della banda dei cinque giustiziati il 24 marzo del 2016, al termine di un conflitto a fuoco rivelatosi poi un orrendo depistaggio. I tre sono stati interrogati dagli egiziani ma hanno negato ogni coinvolgimento. Basterebbero le loro parole, vere, per raccontare la vera storia sulla tortura e l’omicidio di Giulio Regeni.