Corriere della Sera, 5 settembre 2017
Il posto di Comand
Schiantato da una malattia precoce e letale, un meccanico di neanche quarant’anni ha lasciato in eredità la sua officina ai cinque dipendenti. Si chiamava Andrea Comand ed era un friulano senza figli, con un’azienda per famiglia. L’aveva fondata da poco, dopo un lungo apprendistato, infondendovi tutta la passione di cui sono capaci certi italiani concreti, ai quali la consapevolezza di vivere in un Paese che fa di tutto per mortificare gli slanci non ha ancora estirpato la voglia di provarne. Al momento di separarsene avrebbe potuto disporre la vendita e devolvere il ricavato a madre e fratelli. Invece ha pensato che i suoi collaboratori fossero gli unici in grado di portarla avanti, così da garantire a lui un afflato di immortalità.
Nell’era dei capitali che si spostano con un clic e dei lavoratori declassati a merce fungibile di scarso valore, storie come questa sanno di archeologia economica e forse sentimentale. Eppure, scorrendo la lettera con cui i cinque dipendenti hanno accettato e ricordato l’eredità di Comand, ci si imbatte in concetti imprescindibili per chiunque voglia fare impresa e in genere qualcosa di durevole: merito, esempio, coinvolgimento, condivisione. Parole che la politica ha inflazionato e tradito, al punto da renderle peggio che retoriche: patetiche. Il gesto di Comand restituisce loro una potenza eversiva. Si può ripartire solo se si riparte da qui.