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 2017  settembre 05 Martedì calendario

In morte di Gastone Moschin, l’ultimo di “Amici miei”

Roberto Nepoti per la Repubblica
Ci sono alcuni film e ruoli indimenticabili nella carriera di Gastone Moschin, che ieri ha preso congedo dalla vita all’ospedale di Terni, all’età di 88 anni, a causa della cardiopatia che lo perseguitava. Personaggi della letteratura come lo Jean Valjean dei Miserabili e il Fratognone del Mulino del Po, nei due mitici sceneggiati televisivi diretti da Sandro Bolchi negli anni 60; ma anche “caratteri” creati appositamente per il cinema: l’ineffabile Rambaldo Melandri di Amici miei, naturalmente, il ladro Adolf di Sette uomini d’oro, il gangster italiano Ugo Piazza di Milano calibro 9. Però Moschin fu anche Don Camillo, Filippo Turati (nel Delitto Matteotti di Florestano Vancini), il crudele Don Fanucci nel Padrino – parte II di Francis Coppola. Segni tutti di una straordinaria versatilità che gli consentì di attraversare, col suo corpo massiccio e la sua voce profonda, periodi e generi molto diversi. Di formazione teatrale, sulle scene rimase per tutta la vita. Prima fu al Teatro Stabile di Genova, poi al Piccolo di Milano e allo Stabile di Torino, recitando tra l’altro in vari allestimenti di Cechov. Nel 1983 avrebbe fondato una sua compagnia teatrale, rappresentando ancora l’autore russo, un memorabile Sior Todero brontolon, Uno sguardo dal ponte. La sua carriera cinematografica fu precoce; affiancata presto da quella televisiva, che gli avrebbe dato una grande popolarità presso la grande platea catodica. Sullo schermo Moschin debuttò a ventisei anni ne La rivale di Anton Giulio Majano. Poi fu nel sequel Audace colpo dei soliti ignoti di Nanni Loy; quindi alternò parti da protagonista con ruoli da caratterista di lusso in film drammatici (Tiro al piccione) e in commedie (Anni ruggenti, Il successo); fino a quel Signore & signori di Pietro Germi (1965) che, acre e divertente commedia di costume, gli frutta il Nastro d’Argento come miglior attore non protagonista per la parte del ragionier Osvaldo Bisigato. Recitando, lui umbro, con un credibilissimo accento veneto. Il suo apporto sarà fondamentale per il successo di alcuni film divenuti celebri e destinati a generare sequel: il cult Sette uomini d’oro di Marco Vicario (1965), cui fa seguito Il grande colpo dei sette uomini d’oro; e soprattutto Amici miei (1975) di Mario Monicelli (poi ripreso in Amici miei atto II e Amici miei atto III), grazie al quale raggiunge l’apice della fama. Ci sono però altri film in cui le performance dell’attore meriterebbero di essere riviste: capolavori indiscussi come Il conformista di Bernardo Bertolucci (1970), dove interpreta l’agente speciale Manganiello; oppure cult di genere. Tra tutti Milano calibro 9 di Fernando Di Leo (1972), uno tra i precursori del poliziottesco autarchico: film struggentemente noir in cui Moschin disegna la figura di un romantico e sfortunato gangster metropolitano che merita rispetto anche dai suoi nemici («tu uno come Ugo Piazza non lo uccidi… tu uno come Ugo Piazza lo devi rispettare»). Nella vastissima galleria di personaggi in cui amò travestirsi non mancano i preti: oltre a un simpaticissimo Don Camillo (Don Camillo e i giovani d’oggi), fu un riprovevole monsignore in Roma bene di Carlo Lizzani.

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Michela Tamburrino per La Stampa
Era rimasto, Gastone Moschin, l’ultimo del gruppetto che fece grande la trilogia di Amici Miei. Si è spento ieri a Terni l’attore che impersonò l’inguaribile romantico Rambaldo Melandri che con Tognazzi, Noiret, Celi e Del Prete (sostituito poi da Montagnani) diede vita all’indimenticabile serie di zingarate cinematografiche. E proprio a questo proposito disse tempo fa: «Oggi non è più tempo di zingarate. Di supercazzole invece sì».
Un interprete raffinato della commedia all’italiana e non solo, rese grande anche il cinema di genere spaziando dall’Ugo Piazza del noir Milano calibro 9 al marsigliese nel poliziesco Squadra volante, diventando immagine di riferimento per i film polizieschi non solo dell’epoca. Perché Moschin, classe 1929, era un interprete di quelli che i registi amano: poliedrico, intelligente, dotato di una gran vena ironica che era poi la sua arma vincente. È passato dal Padrino parte II interpretando a fianco di Robert De Niro lo spietato boss Don Fanucci, a L’Audace colpo dei soliti ignoti da Gli anni ruggenti che lo farà emergere nei panni del codardo Carmine Passante, al film di cult Sette Uomini d’oro mentre resta memorabile l’interpretazione che diede del ragionier Bisigato in Signore & Signori di Pietro Germi che gli regalò il Nastro d’argento. Germi, il regista che con Monicelli (che in Amici miei sostituì proprio Germi oramai malato) lui ha più amato e che gli fece capire quanto i personaggi negativi, codardi e furbetti, gli potessero aprire una gamma infinita di tipizzazioni legate all’italiano medio.
Ha frequentato con uguale perizia grandi autori come Lizzani, Damiano Damiani, Majano, Bertolucci, Corbucci, Zampa, Cottafavi e registi di genere, sempre affiancato da colleghi di vaglia con i quali lui si divertiva sul set. Ha contribuito a rendere indimenticabile anche una certa televisione degli sceneggiati d’autore. Vanno ricordati tra i tanti Il mulino del Po e I Miserabili nel quale interpreta il protagonista Jean Valjean per la regia di Sandro Bolchi.
E questo perché aveva iniziato dal teatro negli Anni Cinquanta, prima con lo Stabile di Genova, poi con il Piccolo di Milano per poi collaborare con lo Stabile di Torino con due splendidi allestimenti di Zio Vanja di Cechov e I giganti della montagna di Pirandello. Formò nell’83 una sua compagnia presentando lavori diversi ma soprattutto concentrandosi su Goldoni che è sempre rimasto il suo cavallo di battaglia grazie anche alla sua lingua madre, il veneziano, pur se negli anni aveva raggiunto un’ottima dimestichezza con la maggior parte dei dialetti italiani.
Nel 2000 e nel 2001 partecipa alla prime due stagioni della serie tv Don Matteo. Dal 1990 si era ritirato in Umbria, a Capitone, vicino Narni dove aveva un maneggio di cavalli, divenuto il primo centro di ippoterapia della regione.
A dare la notizia della scomparsa è stata la figlia Emanuela su Facebook che ha lasciato il messaggio: «Addio papà... Per me eri tutto».

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Stefano Bartezzaghi per la Repubblica
 Cippa Lippa è rimasta vedova. L’ultimo eroe delle «zingarate » ha raggiunto gli «amici suoi» nell’empireo allegro, ma anche malinconico, dei commedianti. Era Gastone Moschin, nato nel 1929, attore versatile di cinema, teatro e televisione, rimasto impresso nella memoria nazionale soprattutto per aver interpretato l’architetto Rambaldo Melandri in Amici miei.
Era il suo personaggio che, grazie a un corteggiamento collettivo telefonico, riusciva a sedurre la bellissima Donatella (Olga Karlatos), moglie del primario Alfeo Sassaroli, interpretato da Adolfo Celi. Era lui che aveva appunto coniato il vezzeggiativo, inverosimile, di «Cippa Lippa», suscitando culmini di sadismo nei suoi amici aguzzini; era lui che non riuscendo a sopportare il ménage familiare sceglieva la fuga, si rinfrancava tirando schiaffoni ai passeggeri in partenza e in un momento di entusiasmo per la riuscita della burla chiedeva allo stesso Celi, Tognazzi (il Mascetti), Noiret (il Perozzi), Del Prete (il Necchi): «ma perché non siamo nati tutti finocchi?».
Già, perché erano per l’appunto tutti maschi, cantatori corali della “Bella figlia dell’amore” ma anche della “Bucaiola”. Del resto negli anni in cui Pietro Germi ideò la sceneggiatura e in cui Mario Monicelli girò il film (uscito nel 1975) non si parlava di «politicamente corretto» e in fatto di allusioni sessuali e coprolaliche la trasgressione colpiva un bacchettonismo anteriore, di radici assai profonde.
La scena della «supercazzola » con il vigile urbano ripeteva i fasti di Totò e Peppino in piazza del Duomo a Milano ma con l’aggravante del dolo: il lemma «supercazzola» è di recente entrato nei vocabolari italiani. Ora, quarant’anni dopo, lo si impiega più di allora, poiché il nonsenso doloso non è più cosa da commedia: è sceso direttamente in politica.
Con il grande Moschin, gli «amici miei» (diventati anche un po’ nostri) se ne sono andati proprio tutti ed è appena il caso di ricordare che alla fine del primo, luminosissimo episodio della serie, la trasgressione arrivava a colpire il tabù più estremo: la morte. L’agonia, la confessione, il funerale e, nel secondo episodio, la visita al cimitero a salutare il Perozzi e a far impazzire di gelosia postuma il vedovo interpretato da Alessandro Haber.
Goliardica e maschilista, la sfida a cui Moschin ha contribuito con la sua arte fu, innanzitutto, liberatoria. E sedusse tutti, non la sola, derelitta e bellissima Cippa Lippa.

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Gloria Satta per Il Messaggero
Se n’è andato Gastone Moschin, l’indimenticabile architetto Melandri di Amici miei: dopo la scomparsa di Tognazzi, Noiret, Del Prete e Celi, era l’ultimo sopravvissuto della goliardica banda protagonista della commedia-cult di Monicelli. Ma nella sua lunga carriera, l’attore ha interpretato anche grandi sceneggiati tv come Il mulino del Po, serie più recenti come Don Matteo, e ha fatto tanto teatro arrivando, nel 1983, a fondare una propria compagnia.
Veneto di origine, Moschin si è spento nell’ospedale di Terni dove era ricoverato da qualche giorno: aveva 88 anni e dal 1990 viveva nel paese di Capitone, vicino a Narni, dove aveva dato vita a una scuola di recitazione con l’ex moglie Marzia Ubaldi e la figlia Emanuela e aveva installato uno dei primi centri di ippoterapia con i suoi adorati cavalli. La figlia Manuela ha annunciato la sua scomparsa con un post su Facebook: «Addio papà, per me eri tutto».
TALENTO A 360 GRADI
Occhi azzurri penetranti, ironia beffarda, presenza carismatica, Moschin è stato un grande attore italiano, un attore completo che non ha mai ceduto alla tentazione di trasformarsi in un divo. Lascia il ricordo di una carriera a 360 gradi sempre divisa tra teatro, cinema, televisione. Grazie al suo talento versatile, elegante e disincantato poteva passare con la stessa credibilità dalla supercazzola del film di Monicelli alla satira di costume del capolavoro di Germi Signore & Signori, dai testi di Cechov ai western-spaghetti di Corbucci, dagli storici sceneggiati in bianco e nero di Bolchi e Majano alla commedia italiana di razza, a film d’autore come Il conformista di Bertolucci, o Il Padrino parte II di Coppola.
Ma il ruolo più famoso, l’apoteosi della sua carriera, resta forse il goffo architetto Rambaldo Melandri protagonista con Tognazzi (il conte Mascetti), Philippe Noiret (il Perozzi), Adolfo Celi (il Sassaroli) e Duilio Del Prete (il Necchi) dell’immortale saga di Amici miei: l’ultimo capitolo, Amici miei atto III, è stato diretto nel 1985 da Nanni Loy. Ma di quelle commedie è rimasto ancora vivo lo spirito eversivo, hanno fatto scuola le zingarate e la supercazzola che i giovanissimi spettatori citano con entusiasmo e cliccano su YouTube. «Oggi l’Italia non è più un Paese per le zingarate, mentre le supercazzole non passano mai di moda», aveva osservato l’attore in una delle ultime interviste.
Nella Treviso di Signore & Signori, satira sferzante della provincia e delle sue ipocrisie, Moschin aveva invece interpretato un altro personaggio destinato a lasciare il segno: il ragioniere Osvaldo Bisigato, innamorato di una cassiera ma costretto dagli amici a tornare con la moglie per non dare scandalo.
FRA SET E SCENA
Nato l’8 giugno 1929 a San Giovanni Lupatoto, in provincia di Verona, cresciuto a Milano, l’attore aveva cominciato a recitare con lo Stabile di Genova negli anni Cinquanta. Cechov (Zio Vania) e Pirandello (I giganti della montagna) sono i suoi cavalli di battaglia mentre comincia a profilarsi la carriera cinematografica. Il primo film, La rivale diretto da Majano, è del 1955, ma presto Gastone si afferma come interprete di commedie a cominciare da Audace colpo dei soliti ignoti. Alternerà sempre ruoli da protagonista a quelli da spalla di lusso e dopo aver lavorato con Pietrangeli (La visita), interpreta Sette uomini d’oro, grande successo commerciale, e il capotistipe dei poliziotteschi, Milano calibro 9. Sarà diretto da grandi registi: Zampa, Comencini, Lizzani, Ferreri, Vancini, Lattuada, Wertmüller.
Dopo la saga di Amici miei, le apparizioni di Moschin si diradano. L’attore interpreta I magi randagi di Citti e il suo ultimo film, il controverso Porzus di Martinelli, è del 1997. Ma nel 2010 non aveva potuto fare a meno di partecipare a L’ultima zingarata, omaggio firmato da Micali e Parrettini al capolavoro di Monicelli, che compare addirittura in un ruolo. Simpatico, semplice, Moschin lascia il ricordo di un grande attore, profondamente innamorato del suo mestiere a cui lo legò sempre, anche nelle interpretazioni brillanti, una devozione rigorosa.
Gloria Satta