Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  settembre 04 Lunedì calendario

Il Conte rosso in fuga dall’abisso

Non c’è neppure l’eco di un Urlo nel ritratto a olio di Harry Clemens Ulrich Kessler che Edvard Munch dipinse a Berlino, nel 1906. C’è invece un dandy di 38 anni con panama e baffi ben curati, bastone da passeggio, occhi pensosi, completo blu che risalta come uno smalto bizantino. L’uomo, che più tardi sarà chiamato il Conte rosso, galleggia dentro una sorta di bolla gialla, rosa e arancione, con il distacco di un’icona. Il pittore norvegese aveva utilizzato colori simili con altra forza e dramma nel suo quadro più celebre, tredici anni prima: la testa di una mummia peruviana che grida e deforma con onde sonore un paesaggio bluastro; alle spalle il cielo al tramonto, striato di ferite sanguigne.
Il ritratto del conte, nella collezione della Neue Nationalgalerie berlinese, è in apparenza tra le opere più felici del maestro dei tormenti di fine secolo. Ma va guardato con attenzione. Il distacco di Kessler può rivelare la fissità di una maschera. La bolla si trasforma in un limbo pericoloso. In un altro ritratto, di due anni prima, i colori sono più violenti, i lineamenti del volto dell’imperturbabile gentleman appaiono tirati, sullo sfondo della sua biblioteca. La faccia di Harry Graf Kessler, «uno degli uomini più cosmopoliti che sia mai vissuto», come lo definì il poeta Wystan Auden, diventa quella di un lontano parente degli zombie borghesi che passeggiano la Sera sul viale Karl Johan in uno dei quadri più terribili di Munch.
Tempi inquieti
Formalmente, il pittore di Christiania tratta con molta delicatezza il suo modello e mecenate. Ma l’inquietudine del tempo si muove, striscia sotto il pennello. La prima volta che Kessler si mette in posa nello studio di Munch a Berlino, per una incisione, l’artista gli appare «affamato, sia nel senso fisico sia in quello psicologico». Durante una seduta, una sbrigativa negoziante porta via il cavalletto, per un debito non pagato. Kessler tira subito fuori il portafoglio. Munch non batte ciglio. 
Il conte annota tutto nei suoi diari. Nel maggio del 1918, nella sua casa a Weimar, mentre il maresciallo Erich Ludendorff lancia le ultime violentissime offensive tedesche sul fronte occidentale, Kessler, tornato da Berlino, ripercorre in rivista i suoi souvenir: una dedica di D’Annunzio, i quadri impressionisti, sigarette persiane portate da Ishafan dal tennista e scrittore Claude Anet, un programma dei Ballets Russes con illustrazioni di Nijinsky, un libro di Robert de Montesquiou sulla Contessa di Castiglione. Il suo mondo perduto. Scrive: «Che fato mostruoso è emerso da questa vita europea – da questa nostra vita – proprio come la seconda più sanguinosa tragedia della storia è sorta da travestimenti di pastorelle e dallo spirito leggero di Boucher e Voltaire. Noi tutti sapevamo che la nostra età non stava andando verso una pace duratura ma dritta alla guerra. È stato come galleggiare in una bolla di sapone che all’improvviso è scoppiata e scomparsa senza lasciare traccia, quando le forze infernali che fermentavano nel suo grembo sono diventate mature». Era la bolla che Munch aveva dipinto intorno al conte dodici anni prima. Lo scoppio è quello della Prima guerra mondiale. 
Tra salotti e amori gay
Harry Kessler è cosmopolita fin dalla nascita. La città è Parigi; la data il 1868, che precede di poco il conflitto franco-prussiano. I genitori sono il banchiere di Amburgo Adolf Wilhelm – che gestisce il debito di guerra francese – e la bellezza anglo-irlandese Henriette Blosse-Lynch, che ha fatto perdere la testa anche al Kaiser Guglielmo I. Del giovane Harry si sussurra che sia il figlio illegittimo del Kaiser. L’imperatore, quasi a confermarlo, insignisce il padre del titolo di Graf, conte. Il ragazzo comincia a riempire le pagine dei suoi diari a dodici anni. Non smetterà fino alla morte, nel 1937, a Lione, in fuga dalla Germania nazista. Eppure, in vita, è riuscito a mandare in stampa solo il primo libro tratto dai suoi diari, messo subito al bando dal ministero della cultura nazionalsocialista.
Una parte dei diari di Kessler è stata pubblicata alla fine degli Anni 60 del secolo scorso: è quella che riguarda la vita tra le due guerre. In questo periodo Kessler si guadagna il soprannome di Conte rosso per il suo pacifismo, l’impegno per la costruzione di organizzazioni sovranazionali, l’amicizia con l’industriale e politico progressista Walter Rathenau, sul quale scrive una biografia appassionata dopo che il ministro tedesco viene assassinato da ufficiali di estrema destra. Sono anche gli anni in cui convince Joséphine Baker a ballare nella sua biblioteca e, come editore, con la Cranach Press, pubblica l’Amleto, con le illustrazioni di Gordon Craig, considerato dai bibliofili il più bel libro d’arte del ’900.
La prima parte dei diari – dal 1880 al 1918 – è stata invece ritrovata in una cassetta di sicurezza nell’isola di Maiorca e pubblicata all’inizio degli Anni Duemila. La giovinezza e la maturità di Kessler hanno il ritmo della Belle Epoque tra wagon lit e salotti, atelier di pittori e amori omosessuali che mettono a rischio la sua reputazione. Prima che la bolla deflagri, il conte passa da una cena con Rodin a una visita a Rilke, a Parigi. Trova l’idea per il libretto del Rosenkavalier di Hoffmansthal e Strauss e trascina a Weimar l’architetto Henry Van der Velde con il progetto d’impiantare l’ Art Nouveau in Germania. La vita in grande stile è attraversata da presagi. Le tentazioni di guerra si ripetono nelle pagine dei diari. Kessler diventerà pacifista solo dopo i massacri in trincea. L’edizione inglese dei diari fino al 1918 ha un titolo appropriato: Journey to the abyss, viaggio verso l’abisso. 
L’incontro con Nietzsche
Nel 1906 a Munch viene commissionato un ritratto di Nietzsche – che non ha mai incontrato. Nel quadro, il filosofo ha un’espressione da burbero bonario. Dietro la commissione ci sono forse i buoni uffici di Kessler. Che invece Nietzsche lo ha incontrato negli ultimi giorni, quelli della follia. In visita alla sorella Elisabeth Foerster-Nietzsche, lo fissa negli occhi e annota: «Non c’è niente di folle nel suo sguardo». Kessler sarà l’ultimo a chiudere gli occhi all’autore di Zarathustra, che per un riflesso post mortem si sono spalancati dopo il servizio funebre.
Oggi gli occhi pensosi del dandy promotore delle arti ci fissano da vicino. Il guru della moda Karl Lagerfeld lo cita come fonte d’ispirazione. L’età edoardiana in Inghilterra e la Belle Epoque francese ci tengono incollati agli schermi cinematografici e televisivi, con il contrasto tra lusso estremo e bohème, stuoli di servitori e vite eccentriche e poco consapevoli. Se l’Urlo di Munch prefigura lo scoppio immane, il ritratto di Harry Graf Kessler descrive la calma elettrica prima della tempesta. Ci sono quadri che fanno resuscitare mondi. Il conte dall’eleganza impossibile evoca piuttosto la perdita di un mondo. Mai più ritrovato.