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 2017  settembre 03 Domenica calendario

La scuola di Foster Wallace

Il professore che in un’aula dell’Università dello Stato dell’Illinois non ammetteva ritardi e assenze, che dichiarava “Questo mi fa davvero male al cervello” se uno studente usava “nauseous” (nauseabondo) al posto di “nauseated” (nauseato) e che usava tre inchiostri diversi per correggere lo stesso compito non era affatto un residuato della pedagogia più tradizionalista e bacchettona. Al contrario: era un David Foster Wallace trentunenne che, tra una lezione e un ricevimento, seguiva l’editing di Infinite Jest, il romanzo che non assomigliava a nessun romanzo mai pubblicato e violava, con ostinata consapevolezza, parecchie delle regole costituzionali della scrittura cosiddetta “creativa”. Indossatore di bandanna e camicie a scacchi, masticatore di tabacco, conoscitore di ogni devianza sociale e linguistica, studioso degli slang dei rapper, quando incappava in un caso grammaticale particolarmente intricato Wallace prendeva il telefono e, davanti agli studenti, chiamava la mamma. Sally Foster era docente d’inglese al college e autrice del manuale “Inglese praticamente indolore”. Fin da bambini David e la sorella Amy non potevano commettere un errore di grammatica chiacchierando a tavola senza che la madre prendesse a tossicchiare nel tovagliolo fino a che il colpevole non fosse riuscito a individuare l’improprietà e a emendarla (a volte David fece poi lo stesso con i suoi studenti). Dato che tra i protagonisti di Infinite Jest c’è Avril Incandenza, una madre esponente di rilievo dei “Grammatici Militanti del Massachusetts” e più generalmente spaventosa, i rapporti fra David e Sally si raffreddarono alquanto: per qualche tempo i due comunicarono solo attraverso le telefonate di consulenza grammaticale.
Non che Wallace avesse una vera e propria vocazione pedagogica. Insegnava per permettersi l’assicurazione sanitaria e quindi i farmaci e i trattamenti psichiatrici senza cui non poteva vivere. Quindi, di necessità virtù: lo scrittore estroso e certo non supino verso le convenzioni si tramutava (non senza pena) in un professore scrupolosissimo ed esigente, in primo luogo con sé stesso. Una di quelle aporie senza uscita logica che tanto ispiravano lo stesso Wallace wittgensteiniano della
Scopa del sistema?
In realtà, no.
Se c’è un tratto comune a tutta l’opera di Wallace (ma anche alla sua biografia, per quanto è dato saperne; cfr. D.T. Max, Ogni storia d’amore è una storia di fantasmi, Einaudi Stile Libero) questo è costituito dallo sgomento inesausto per le relazioni fra le persone, in particolare per l’impossibilità di determinare e controllare il modo in cui si è percepiti dagli altri. Dalla sua prima protagonista (la Lenore della Scopa che teme di essere solo un personaggio di romanzo) al discorso ai neodiplomati di Questa è l’acqua (con l’esortazione a non accontentarsi mai della propria “modalità predefinita”, cioè delle proprie reazioni istintive all’ambiente), dalla crisi inesplicabile e mostruosa su cui si apre Infinite Jest al tema dell’impostura che porta al suicidio la voce narrante di Caro vecchio neon, l’opera di Wallace è un inanellamento di perle sul filo che collega solipsismo e socialità, in una collana per il cui possesso disputano, a strattoni, cultura e intrattenimento mediale.
Se c’è poi un limite nell’analisi semiotica e psicologica che Wallace compie sulle istituzioni sociali (prime fra tutte, la lingua inglese, la famiglia e la sovrapposizione delle due nella sua biografia), questo sta in una strisciante nostalgia per un concetto forte di autorità, dal prescrittivismo grammaticale a una dottrina teologica, per dir così, “sostenibile” (si avvicinò più volte a confessioni religiose, nella speranza di trovarne una che potesse conciliarsi con il suo ateismo personale di base).
Le convenzioni quasi vessatorie a cui Wallace sottoponeva i suoi studenti e sé stesso, nella relazione didattica, erano allora sia un modello astratto sia un campione “incarnato” delle convenzioni più vaste con cui si deve confrontare ogni persona che voglia dare un senso all’istruzione che ha ricevuto. Come in Lacan, la convenzione era l’Altro: non c’è norma e istituzione che non derivi da una relazione sociale. Torna allora in mente che la prima manifestazione del talento letterario di Wallace fu, sin da ragazzo, la capacità di intuire i pensieri e la logica degli altri, e imitarli alla perfezione. Se ci manca così tanto, probabilmente è proprio per questo: non siamo noi a immedesimarci in lui, ma percepiamo quanto lui riuscisse a immedesimarsi in noi.