La Lettura, 3 settembre 2017
Milo Manara Il fumetto reinventa l’arte
Chi è davvero Milo Manara? Una leggenda del fumetto, dalla cifra stilistica inconfondibile, il cui itinerario verrà ripercorso in un’ampia antologica (curata da Claudio Curcio) dal 22 settembre a Bologna, nella sede di Palazzo Pallavicini, dove sarà ordinato un percorso suddiviso in varie sezioni: oltre ai fumetti, saranno esposte opere concepite per la stampa, il cinema e la pubblicità. Un viaggio che muove dal giovanile Jolanda de Almaviva, passando per Profumo dell’invisibile e Il gioco (da cui è stato tratto un film). Per arrivare ai due libri su soggetto di Federico Fellini (per film mai realizzati), Viaggio a Tulum e Il viaggio di G. Mastorna detto Fernet. Fino alle X-Women per la Marvel Comics. Senza dimenticare le collaborazioni con Hugo Pratt ( El Gaucho, Estate indiana ) e con Alejandro Jodorowsky ( I Borgia ). Infine, gli inediti: alcuni disegni e storyboard di Fellini, illustrazioni ispirate a Shakespeare e a Mozart, le tavole di Un fascio di bombe e quelle (in anteprima) sulla vita di Caravaggio.
Dunque, chi è davvero Manara? Un autore iperpop, a tratti discontinuo, bulimico (forse ha prodotto troppo). Che ha pensato ogni suo intervento come l’ulteriore capitolo di una mobile commedia umana, ricca di personaggi e di comparse, costellata di avventure, segnata da trasgressioni e da perversioni. Una commedia visionaria, popolata soprattutto da figure femminili: ammalianti, fascinose, provocanti, seduttive, allegre, con sederi «parlanti», dotate di un’eleganza ipnotica, dalla sensualità morbida, guidate da irrefrenabili desideri. Eroine dell’incanto, della bellezza. Ad esempio, Miele, plasmata sulle fattezze di Kim Basinger e di Kim Novak.
Una comédie sempre a sfondo erotico. In Manara, l’Eros è l’altra faccia di Thanatos, ma come spazio dove trionfa una leggerezza disimpegnata e sfrontata. Evento gioioso, ludico, solare, senza ansie, privo di morbosità, attraversato da abbandoni onirici. «L’erotismo non è dato dall’esibizione di corpi nudi. È generato da situazioni che si determinano tra due persone. È tra le manifestazioni più importanti dell’animo umano. Certo, contano il voyeurismo maschile e l’esibizionismo femminile. Ma decisivi sono il cervello e la fantasia», afferma Manara.
Alberto Moravia sosteneva che, nei suoi libri, l’erotismo aveva la medesima funzione svolta dal denaro nei romanzi di Balzac, dall’omicidio in quelli di Dostoevskij e dal mare in quelli di Conrad: una chiave per entrare nei segreti del reale. È, scriveva Moravia, «una sorta di vertigine nella trascendenza», simile al «ponte che un essere senza via di scampo getta tra il mondo e se stesso, ferocemente». Manara si dice in sintonia con questo giudizio. Anche se le «sue» donne non hanno le medesime inquietudini che tormentano le vite interiori di tanti personaggi moraviani. «Il mio erotismo è giocoso, privo di ogni intellettualismo».
In filigrana, tante assonanze filmiche. Il cinema disinibito di Tinto Brass. E quello visionario di Federico Fellini, con cui Manara ha avuto un rapporto di consuetudine e ammirazione. «I suoi film – dice a “la Lettura” – si basavano sul sogno e sulla memoria. Aveva un modo unico per modificare la realtà: per stravolgerla. Mostrava il presente come una dimensione non da vivere, ma da ricordare. Voleva deragliare dal vero. Perciò attribuiva grande importanza al trucco. In studio ricreava le cose e le persone, deformandole. Gli attori dovevano somigliare a com’erano nelle sue caricature».
E tuttavia, tante le differenze tra l’universo poetico di Manara e quello di Fellini. «I nostri mondi sono diversi. Penso soprattutto agli ultimi film di Fellini, che ho seguito sul set: drammatici, disperati, nichilistici, descrivevano già la catastrofe estetica e morale cui stiamo assistendo ora. Fellini amava dirmi che, quando voleva girare un film comico, finiva per ottenere esiti drammatici. Io, invece, parto con il proposito di narrare una storia seria, ma poi mi sfarina tra le mani e mi ritrovo a raccontare avventure allegre con belle ragazze».
Le affinità con il regista de La dolce vita vanno ricercate su un altro registro: nel bisogno di rimodulare ogni sequenza attraverso il filtro di un’immaginazione eccessiva, che mescola realtà e fantastico. «Fellini mi ha insegnato quanto sia importante non sottostare a schemi lineari. Da lui ho imparato a costruire plot senza trama», afferma Manara, la cui iconografia barocca attinge anche alla storia dell’arte. Botticelli, Caravaggio, Rubens, ma anche i protagonisti del Liberty e i preraffaelliti, ammirati per la loro sapienza nel definire e nel colorare silhouette femminili idealizzate, sensuali e raffinate, dalle movenze sinuose. Matrici, queste, che sono riprese per essere rese irriconoscibili: vengono trasfigurate, soggettivizzate, dissolte nelle pieghe dell’immagine dipinta o disegnata. Che rivela perfezione compositiva, controllo tecnico, maestria cromatica. «Ho avuto una formazione artistica tradizionale. Discendo dalla storia dell’arte. Mi ha sempre guidato la passione per la pittura». Il fumetto? Una forma differente – e «secolarizzata» – di pittura, capace di rilanciare la grande tradizione dell’arte occidentale. «Con l’avvento della fotografia, del cinema e della televisione, la pittura ha perso il ruolo sociale che aveva avuto nei secoli precedenti, quando era ritrattistica, reportage, testimonianza religiosa. Quella nobile tradizione è stata recuperata dal fumetto, tra i pochi spazi nei quali qualcuno continua a muovere le mani su una superficie come facevano i maestri del passato. Conservando uno stretto rapporto con la società. La maggior parte degli artisti di oggi appare isolata dal contesto in cui si trova a vivere: si è rinchiusa in un’enclave, proponendo opere spesso incomprensibili. Autori come Gipi, Zerocalcare e Igort, invece, ricoprono un preciso ruolo pubblico».
In sintonia con queste personalità, Manara pensa il fumetto come un medium sincretico. Che ha il potere – inibito all’arte e al cinema – di saldare artifici linguistici di diverso tipo: il gusto per la creazione di figure servendosi della sintassi dei colori e delle linee; l’attenzione alla drammaturgia e allo storytelling; infine, la cura dei dettagli, delle inquadrature, del plot. «Il fumetto intrattiene relazioni con la letteratura e con il cinema. È un genere che può contenere altri generi. Ma ormai è un’arte a sé: diventato adulto». Una pratica des*tinata a ibridarsi. «Mi piace contaminarmi. Ho sperimentato tante possibilità narrative. Ho sondato molte strade», dice Manara, le cui parole sembrano nascondere una sorta di consapevole rifiuto delle grandi ambizioni. Inventore di una esuberante comédie érotique, egli è l’opposto di quegli artisti di oggi che innalzano alte impalcature retoriche su esercizi concettuali spesso autoreferenziali. Non senza un certo disincanto, afferma: «Non sono un artista. Rivendico il mio essere un fumettaro. Le mie sono solo storielle. Fumetti, non opere d’arte».