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 2017  settembre 02 Sabato calendario

Concordato per l’Atac, scatta lo sciopero


La riunione del cda, sul tavolo anche il triplice incarico a Simioni. Nuova grana per Raggi

ROMA Venti minuti di pioggia e la metropolitana di Roma impazzisce. Risultato: tre stazioni chiuse per allagamenti. Nelle stesse ore il cda di Atac, la municipalizzata dei trasporti strozzata da 1,35 miliardi di debiti, dice sì al concordato preventivo in continuità, ovvero l’accordo con i creditori sotto l’egida del tribunale per scongiurare il fallimento. E però, per buona parte dell’incontro si sarebbe parlato anche di altro: il triplice incarico conferito a Paolo Simioni (direttore generale, presidente e amministratore delegato) finito all’attenzione dell’Anac. Secondo fonti interne all’azienda il cda avrebbe chiesto un parere legale per verificare la possibilità di blindare le nomine, in particolare quella di dg che non è sottoposta a vincoli retributivi, facendo leva sulla situazione prossima al default. 
Argomento che avrebbe invelenito un clima già esasperato dall’incertezza sul futuro dei 12 mila dipendenti della holding capitolina. I sindacati, che giovedì saranno in presidio sotto al Marc’Aurelio in concomitanza con il consiglio straordinario su Atac, per il 12 settembre hanno proclamato uno sciopero di quattro ore. Nel frattempo, mercoledì prossimo l’assessora alla Mobilità Linda Meleo proverà a mediare con le parti sociali. E dopo le dimissioni dell’ex direttore operativo, Alberto Giraudi, altri top manager starebbero pensando di lasciare: sono almeno un paio i nomi che circolano nei corridoi di via Prenestina.
La sindaca, che in sintonia con «l’asse del Nord» lavora da un anno all’ipotesi del concordato, difende sui social la bontà della scelta: «Parte la rivoluzione che trasforma la più grande società pubblica di trasporti d’Europa in un’azienda efficiente. Chiediamo ai creditori di realizzare insieme un piano di risanamento e rilancio». Ripete Virginia Raggi che «Atac deve rimanere pubblica, dei cittadini romani». E assicura che saranno garantiti i livelli occupazionali: «I lavoratori onesti non hanno nulla da temere».
Se non fosse che la notizia impatta come una bomba, non solo sulla galassia sindacale. Dopo le polemiche sul quarto assessore al Bilancio in un anno (il livornese Gianni Lemmetti chiamato a sostituire Andrea Mazzillo) le opposizioni sono in rivolta. «Arrivare al concordato preventivo senza una discussione in assemblea capitolina è un atto eversivo», protesta Stefano Fassina, consigliere di Sinistra per Roma. Il gruppo del Pd accusa: «La maggioranza ha scelto la strada più semplice, quella di lasciare tutto nelle mani dei giudici che ora hanno 120 giorni per decidere l’ammissibilità della procedura». Stoccate anche da destra. Mentre i Radicali, che hanno raccolto 33 mila firme per rimettere a gara il servizio, temono «l’ennesimo tentativo di tenere in vita artificialmente per qualche anno una realtà che è di fatto fallita da tempo».
Tra i dipendenti, dalla base ai quadri, è forte lo scetticismo sul buon esito dell’operazione. La domanda che si fanno in molti è: se non c’è un euro di liquidità nemmeno per chiudere il bilancio, ammesso che i creditori accettino di rinegoziare il debito, come si riusciranno a pagare centinaia di milioni da qui ai prossimi cinque anni con la gestione corrente? Il timore è che a pagare saranno i lavoratori, con effetti disastrosi sulla tenuta del servizio pubblico. In sintesi: la spada di Damocle del commissariamento sulla testa di Roma.