La Stampa, 3 settembre 2017
La nuova vita degli esuli di Caracas che cercano il riscatto nella Colombia ostaggio dei narcos
La Colombia che cerca di lasciarsi alle spalle il dramma della guerra si ritrova per la prima volta nella sua storia ad essere una terra d’immigrazione, con migliaia di venezuelani che ogni giorno arrivano per sfuggire alla crisi politica ed economica del loro Paese.
Una situazione inedita e che preoccupa il governo in un momento delicato, con la guerriglia delle Farc che ha abbandonato la lotta armata per diventare un partito politico e lo Stato che è chiamato a farsi carico di territori da sempre dimenticati.
Non basta, verrebbe da dire, far cessare una guerra per trovare la pace ed è proprio nelle regioni controllate per decenni dalle Farc che questa transizione mostra tutta la sua complessa difficoltà. Dall’inizio dell’anno ad oggi sono stata assassinati diversi leader sociali; sindacalisti, difensori dell’ambiente, attivisti indigeni o dei diritti umani che si sono trovati esposti alla violenza di gruppi criminali interessati alle miniere illegali, alla droga, al contrabbando.
L’ultimo rapporto delle Nazioni Unite parla di un aumento del 52% delle coltivazioni di coca, che oggi sono ritornate ai livelli degli anni Novanta. Una doccia fredda anche per il governo del presidente e premio Nobel della Pace Santos, oggi ai minimi storici di popolarità, accusato di essersi concentrato troppo sulle negoziazioni con le Farc, dimenticandosi di tutto il resto. «La guerriglia – spiega l’analista Sergio Guarin – controllava aree del Paese dove lo Stato era storicamente assente. Quando le Farc se ne sono andate i gruppi rivali hanno preso il sopravvento».
La Colombia è il Paese che investe di più nel programma antidroga delle Nazioni Unite, ma per alcuni analisti indipendenti sono soldi spesi male, perché fino ad adesso sono arrivati in zone dove la presenza dei narcotraffico era minima. Come successo anni fa in Afganistan, gli stessi sussidi dati agli agricoltori per sradicare la coca e dedicarsi ad altri prodotti della terra hanno prodotto un effetto boomerang; per ricevere il denaro si è piantato, di fatto, molto di più. Le sfide del post conflitto sono tante, ma passano tutte attraverso il ruolo che lo Stato potrà occupare, considerando i mezzi a disposizione.
Santos è debole e non riuscirà ad imporre un proprio candidato per le presidenziali del prossimo anno, mentre così non si può dire di Alvaro Uribe, l’ex presidente conservatore e fortemente contrario agli accordi di pace. La vittoria di un candidato uribista potrebbe far saltare alcuni punti dell’intesa, come i sussidi dati agli ex guerriglieri o l’amnistia per i delitti minori. Il nuovo partito delle Farc, passate da forze armate a forze alternative colombiane, avrà di diritto dieci seggi tra la Camera e il Senato, ma difficilmente potrà riuscire a stringere alleanze con altri partiti di sinistra.
Forti nelle campagne e nella selva che hanno controllato per anni, i guerriglieri hanno poco seguito nelle città, dove li si ricorda più per la scia di violenza che hanno causato. Lentamente, poi, si dovrà risolvere lo storico problema dei desplazados, i profughi interna della guerra che un giorno, presumibilmente, vorranno poter tornare in piena sicurezza da dove sono scappati.
È in questo scenario di assoluta incertezza che la Colombia si prepara a ricevere la visita di Papa Francesco. Bergoglio si incontrerà a Bogotá con il presidente Santos e poi andrà a Villavicencio per riunirsi con le vittime del conflitto e a Medellin, simbolo della rinascita sociale dopo gli anni duri dei cartelli della droga. Anche le Farc vogliono incontrarlo per ringraziarlo della mediazione svolta dal Vaticano per facilitare l’intesa per la pace nel Paese più martoriato dell’America Latina.