La Stampa, 3 settembre 2017
Esercenti. Il decreto fa infuriare i negozi: «Regalo alla grande distribuzione»
Le associazioni di categoria si spaccano sulle nuove norme di utilizzo dei buoni pasto. La posizione più sfumata è quella Anseb, realtà che rappresenta buona parte delle società emettitrici dei ticket, i cui soci rappresentano oltre il 75% del mercato dei servizi sostitutivi di mensa. «Il nostro giudizio è positivo, salvo qualche punto interrogativo. C’è un passo avanti. Era giusto superare l’obbligo di utilizzo di un buono solo per volta, perché molti di questi valgono meno di 5 euro, e ce ne sono anche di 3 euro», commenta il presidente Emmanuele Massagli. In pratica «si va incontro alle esigenze del lavoratore, e al fatto che il costo medio di un pranzo sia spesso superiore a quello di un buono». E «si riconosce che il limite di un solo ticket era già scavalcato nella pratica». È un compromesso: «La grande distribuzione voleva il cumulo libero, mentre gli esercenti volevano mantenere il limite di uno», prosegue Massagli. «Ora si stabilisce che si possono comprare anche alimenti non lavorati, e non solo quelli pronti al consumo». Esulta Federdistribuzione, che rappresenta supermercati e centri commerciali. «La legge recepisce un comportamento di fatto delle persone», commenta il direttore della comunicazione Stefano Crippa. «La riforma fa chiarezza sui cosiddetti servizi aggiuntivi offerti dalle società emettitrici, cioè quei servizi che si pagano oltre le commissioni. E che però a volte finivano con l’essere obbligatori, come il conteggio dei buoni. Secondo noi, se eroghi i buoni pasto dovresti provvedere anche al conteggio e non aggiungerlo. Va chiarito questo aspetto». Protesta Confesercenti, che rappresenta anche gli esercizi pubblici, bar e ristoranti. «L’ampliamento stravolge la norma che mira ad offrire un trattamento fiscale di favore per i lavoratori che utilizzano i buoni in sostituzione del servizio mensa e, dunque, nei pressi dei rispettivi uffici e negli orari destinati alla sosta pranzo», dichiara il portavoce. Ora infatti cumulando i ticket è possibile fare acquisti anche in tempi differiti, e di prodotti non destinati al consumo immediato. «Così si penalizzano ulteriormente i piccoli esercizi di vicinato», prosegue Confesercenti. «La norma rischia di ridurre e spostare consumi verso la ristorazione e distribuzione alimentare organizzata, con un’ulteriore perdita di quote di mercato per gli esercizi pubblici e la piccola distribuzione alimentare». Critica anche un’altra associazione di società emettitrici di buoni, la Cobes. «Il buono pasto non nasce come strumento di pagamento ma come titolo di servizio che deve dare accesso a una prestazione», commenta il presidente Giovanni Arrigoni.
«È sostitutivo della mensa, e per questa finalità è stato agevolato fiscalmente: le aziende non pagano oneri previdenziali su quei buoni e i dipendenti non pagano l’Irpef. Auspichiamo che si possa abbassare il numero dei buoni o mettere una indicazione di valore monetario contenuto – 20 o 30 euro al massimo. Altrimenti si fa un regalo alla grande distribuzione». Esprime soddisfazione Coldiretti. «Questa norma sottolinea il ruolo importante di agricoltori diretti e agriturismi», commenta Carmelo Troccoli, direttore della Fondazione Campagna Amica. «Ma per farli usare davvero dobbiamo favorire di più la nascita di mercati nelle città».