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 2017  settembre 02 Sabato calendario

Il difficile processo al generale Graziani

Questo processo non è simile agli altri che abbiamo qui rievocato. Non perché manchino sangue e brutalità: questi abbondano più che in quelli commessi per odio, interesse o follia; ma perché riguardano un militare che fu considerato da alcuni abile e coraggioso patriota, e da altri come incapace e vile traditore. Egli fu l’unico, tra le massime sfere fasciste, ad affrontare un giudizio della nostra magistratura, perché le esecuzioni di Dongo, e qualche altra fucilazione sommaria avevano evitato, come disse Churchill, una Norimberga italiana. Ma a differenza dei suoi colleghi Keitel e Jodl, che a Norimberga furono impiccati, se la cavò con poco. Era l’anno 1950, e l’imputato era il maresciallo Rodolfo Graziani.
L’EDUCAZIONE
Era nato a Filettino, un paese nella valle dell’Aniene l’11 Agosto 1882. Educato per fare il prete, aveva invece dimostrato attitudini militaresche. Troppo povero per accedere all’Accademia, si era arruolato di complemento, ma durante la prima guerra mondiale aveva acquistato sul campo, oltre a varie medaglie, una promozione dietro l’altra. Alla fine, a soli 36 anni, era il più giovane colonnello dell’esercito. Di simpatie originariamente socialiste, si convertì subito al fascismo, e fece una rapida carriera. Mussolini lo mandò (con Badoglio) a riconquistare la Libia, governata di fatto – come oggi da varie tribù locali. Il generale adottò una tattica mobile, dividendo le disorganizzate truppe nemiche, e riportò alcuni successi, deturpati da una crudeltà che ancora oggi i libici non ci perdonano.
La storia si ripetè in Etiopia, dove nel 36 era vicerè. Fu vittima di un attentato, passò vari giorni in ospedale, e rispose con una vendetta degna delle SS di Oradour e di Marzabotto. Fece trucidare migliaia di innocenti, comprese alcune centinaia di monaci, seminaristi e suore. Va ad onore del Negus Hailè Selassié non aver infierito sugli italiani, quando fu rimesso sul trono dagli inglesi vittoriosi. Benché il colonialismo europeo non fosse mai stato tenero verso gli indigeni, tanta crudeltà – militarmente ingiustificata sorprese e indignò il mondo. Come contorno, Graziani sterminò buona parte dei combattenti (e anche dei non combattenti) con i gas nervini. Disonorò la divisa firmando un manifesto a favore delle infami leggi razziali. Mussolini lo premiò nominandolo capo di stato maggiore dell’esercito.
All’inizio della seconda guerra mondiale fu rimandato in Libia, con il compito di conquistare l’Egitto. Il Duce, confidando nella nostra schiacciante superiorità numerica sugli inglesi, prevedeva un’avanzata rapida, ed aveva preparato cavallo e spada per entrare trionfalmente ad Alessandria come liberatore dell’Islam. Graziani avanzò cautamente, poi con maggior vigore, e fu un disastro: stavolta non aveva davanti degli scalzi abissini. Le truppe di O’Connor – meno di un quarto delle nostre – fecero 150mila prigionieri e ributtarono Graziani quasi al mare. Mussolini, lo destituì.
L’OPPORTUNISMO
Rimase inattivo un paio d’anni. Ma quando i tedeschi crearono la repubblica di Salò, vollero lui come responsabile delle (si fa per dire) forze armate repubblichine. Il Maresciallo accettò riluttante, o almeno così sostenne dopo. Di fatto restò al suo posto fino alla fine, combattendo non tanto gli Alleati quanti i partigiani, sempre ossequioso al duce e più ancora ai suoi padroni nazisti. Protestò solo perché non gli davano abbastanza armi e carburante, ma non spese una parola contro la deportazione degli ebrei e le rappresaglie indiscriminate. Mollò il Duce poco prima di Dongo, e si consegnò opportunamente agli americani, che lo misero sotto chiave.
Le Nazioni Unite provarono a imbastirgli un processo per crimini contro l’umanità, ma alla fine si preferì lasciarlo alla Giustizia italiana, che dopo un tentativo di giudizio davanti alla Corte d’Assise di Roma, rimise gli atti al Tribunale militare. Cosi il 23 Febbraio 1950 l’anziano Maresciallo si presentò in aula sotto un pesante fardello di incolpazioni: il disarmo e la deportazione dei carabinieri di Roma; l’organizzazione dell’esercito della RSI; l’invio di lavoratori in Germania; l’emanazione di bandi per l’arruolamento coatto; la direzione delle operazioni antipartigiane; la persecuzione dei patrioti e dei loro congiunti e altre minori. La sentenza di rinvio a giudizio aggiungeva che l’imputato non aveva agito per necessità, ma per antagonismo nei confronti di Badoglio e per avidità di comando.
L’IRRETROATTIVITÀ
Il dibattimento si protrasse per 35 udienze. Il Pubblico ministero fu durissimo a parole, ma chiese una pena mitigata da un paio di attenuanti. Il principale difensore, il prof. Carnelutti superò sé stesso in un’arringa tanto erudita quanto inutile. Giuridicamente il problema ero quello stesso sollevato a Norimberga: la irretroattività della legge penale, cioè il pretendere una condanna per fatti che, al momento del compimento, non erano previsti come reati. Ma dopo quel precedente era impossibile che i giudici gli dessero ragione. Il penalista, maestro dei maestri invocò allora lo stato di necessità: la necessità, spiegò, di difendere l’onore proprio e della Patria. Una tesi ardita, alla quale non credeva nemmeno lui. Infine, com’era sua consuetudine, ripiegò sulla religione: Carnelutti, un tempo ateo convinto, dopo la conversione non finiva mai un’arringa senza un florilegio di massime e pericopi evangeliche.
Il Tribunale Militare si inchinò a questa maestosa e accorata omelia, e condannò l’imputato a diciassette anni di reclusione. Di questi, tredici erano condonati per legge, e Graziani fu liberato dopo soli quattro mesi. Ebbe il tempo di assumere la Presidenza del MSI e mori l’11 gennaio del 1955. I suoi funerali, malgrado l’ostruzionismo del governo, videro un gran concorso di folla, soprattutto reduci e nostalgici fascisti. Come tutti i generali scrisse le proprie memorie. Il titolo del suo libro, Ho difeso la Patria, suona peraltro un po’ grottesco, visti suoi disastri militari. Comunque il Comune di Affile gli ha eretto un mausoleo. Ma ora è in corso un altro processo: quello per farlo demolire.