Il Messaggero, 3 settembre 2017
Cadaveri smembrati e irriconoscibili, le storie violente emergono dal Tevere
I fiumi di Roma, che cullano cadaveri e custodiscono misteri. L’ultimo corpo senza nome è riaffiorato dalle acque del Tevere due giorni fa, irriconoscibile. Ed è solo l’ultimo di una lunga lista. Vittime di omicidi, gettate in acqua da killer che vogliono sbarazzarsi dei resti. Disperati, che scelgono i fiumi della Capitale per farla finita. Protagonisti di bravate e leggerezze, che si affacciano sulla riva imbottiti d’alcol, scivolano tra le onde e non riescono a tornare a galla. Identificati dopo giorni, mesi, anni. Oppure, rimasti senza identità. Sono decine le storie scritte a metà, nascoste nei fondali del Tevere e dell’Aniene, annotate a brandelli nelle pagine di cronaca nera e nel registro dei cadaveri non identificati. Quello che resta, sono le schede delle autopsie, i dettagli annotati dai sommozzatori e dai pubblici ministeri. I corpi anonimi riaffiorati tra le onde nella Capitale negli ultimi vent’anni contribuiscono a fare del Lazio la regione dei misteri, con 220 cadaveri anonimi dal 1974. Di questi, 50 sono stati ripescati da fiumi e laghi, quasi il doppio rispetto alla Lombardia, il cui territorio è segnato da distese d’acqua imponenti.
Due giorni fa il corpo di un uomo è stato recuperato nel Tevere in via Ugo Ceccarelli. L’unico dettaglio utile per l’identificazione era una scarpa da ginnastica che indossava, ma che è sfuggita di mano ai sommozzatori durante le operazioni di recupero. Il pm Luigi Fede ha disposto l’autopsia e una tac per stabilire dalla dentatura almeno l’età. Il 21 agosto è stato recuperato un altro corpo a ridosso del lungotevere di Pietra Papa. Alla vittima è stato dato un nome dopo tre giorni: Marius Ionut Petru, romeno, 36 anni. Si era tuffato in slip dopo una serata con la fidanzata.
Le storie anonime, invece, sono tante. Basta scorrere le schede del Registro dei cadaveri anonimi, custodito dal ministero dell’Interno. «Calvo, indossa maglietta nera con stampa Roma, pantaloni corti blu con stemma su lato anteriore sinistro raffigurante un’aquila». Identikit senza dati anagrafici. «Deceduto da 20 giorni. Razza bianca, corporatura robusta, orecchie piccole di forma regolare, capelli castani, lievemente ondulati e brizzolati, con evidente stempiatura. Rilevata presenza di protesi dentaria mobile». Abiti descritti nei dettagli, nella speranza che servano a ricostruire anche le storie. «T-shirt di colore bianco, jeans di colore azzurro, scarponcini di cuoio nero numero 41». Resta senza nome il cadavere riaffiorato nel 2004 vicino a Fiumicino, aveva in tasca «un pacchetto di sigarette ancora chiuso marca Fortuna, un portamonete contenente 30 euro, una ricevuta di una riffa pasquale». E anche quello riemerso nel 2012 all’altezza dell’Isola Tiberina. Le uniche informazioni sul conto della vittima è che indossava scarpe di gomma, un fazzoletto al collo e una fede nuziale. I dettagli sul corpo di un uomo trovato in zona Ponte Marconi nel febbraio 2011, invece, sono tantissimi. A partire dalla collezione di tatuaggi che aveva sul corpo: 14 in tutto e dei più diversi, dal volto di un uomo al muso di una tigre, da un fiore a una croce, a un cavalluccio marino. Aveva cicatrici sul corpo e i segni di vecchie operazioni chirurgiche. Nonostante questo, a distanza di sei anni, resta senza identità.
GLI OMICIDI
Nei fiumi di Roma scorrono gli esiti di storie violente. L’Aniene non ha ancora restituito il cadavere di Gabriele Di Ponto, un ultrà della Lazio ucciso due anni fa. Fatto a pezzi con una mannaia e buttato in acqua. Il caso ha tenuto la Capitale con il fiato sospeso per giorni. Agosto del 2015. L’11 del mese affiora dall’acqua una gamba ricoperta da tatuaggi. Proprio quei disegni incisi sulla pelle – la scritta «SS Lazio Irriducibili della Curva Nord» e il disegno di Mr Enrich, il pupazzetto simbolo degli ultrà biancocelesti – permettono di identificare Di Ponto.