il Fatto Quotidiano, 3 settembre 2017
La Democrazia cristiana dei tempi d’oro ritratta da Fortebraccio
Speriamo che ci capiti l’occasione, una volta o l’altra, di trovarci al caffè o al ristorante accanto al democristiano on. Ciriaco De Mita (che non ci piace, ma che giudichiamo uomo di ingegno) per sentire con le nostre orecchie come ordina il cappuccino o l’arrosto di vitello. Dirà: cappuccino o arrosto o si esprimerà come usa quando parla di politica? Ci piacerebbe saperlo perché, in questo secondo caso, che cosa gli porterà il cameriere, se non prenderà la “comanda”, come si dice, accompagnato da un interprete del consiglio nazionale della Dc?
Oggi a Saint Vincent si riuniranno (strano, perché questi democristiani non si decidono mai a tenere, che so?, una riunione, un incontro, un convegno, una raccolta), si riuniranno, dicevamo, i fedeli di Donat Cattin, che, come tutti sanno, è il capo della sinistra fianco destr, destr, di Forze Nuove. (Apriamo una parentesi per notare che la Dc è l’unico partito in Italia che ricorra ai servizi di un geografo, appositamente addestrato per indicare i luoghi dei convegni. Agnelli? Faccia vedere la lingua: a Roma. Piccoli e Bisaglia? Vediamo la statura: a Lavarone. Butini? Dica trentatré: a Vallombrosa. E notate che si tratta sempre, in generale, di luoghi scomodi da raggiungere e il più delle volte piovosi. L’hanno voluto il convegno? Va bene, sia, ma bisogna cambiare treno).
Per tornare all’on. De Mita, egli ha dichiarato all’Espresso le sue preferenze per Moro, da portare alla segreteria Dc, aggiungendo (Il Messaggero lo riferiva ieri come testuale) che “Zaccagnini è una condizione per rinnovare la Dc, non è il rinnovamento della Dc”.
Questa sentenza del ministro per il Mezzogiorno è soprattutto memorabile per questo: che è assolutamente priva di senso, e a noi piace immaginare l’on. De Mita che confessi ai suoi amici intimi: “Cosa volete? Dàlli e dàlli mi sono deciso a dirlo, finalmente. Mi ci hanno tirato per i capelli e io, tienila oggi tienila domani, a un certo punto sono sbottato. Lo vedo, lo vedo che mi giudicate imprudente e precipitoso, ma tutto ha un limite”. Ora noi, che ci ritroviamo qui con queste parole, non meno ridondanti che insensate, comprendiamo una cosa sola: che l’on. De Mita è tra coloro che vorrebbero far fuori Zaccagnini, e sapete perché? Perché l’on. Zaccagnini è, tra i democristiani, colui che dice le cose più comprensibili e più semplici, avendo capito che soltanto dicendo caffè al caffè e arrosto di vitello all’arrosto di vitello si potrà, magari dopo un convegno a Bordighera, rinnovare sul serio la Dc.
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Con tutto il rispetto che merita, e che allegramente gli portiamo, il sen. Fanfani ci lasci dire che dopo la morte di Totò consideriamo lui il personaggio più divertente rimasto in Italia. Lo abbiamo visto più volte, in questi giorni, alla tv, e ci è sembrato che si commemorasse. Pronuncia non parole, ma detti, e si ha sempre la sensazione che non li rivolga ai presenti ma alla Storia. Sono già pronti per una lapide, escono dalla sua bocca fatale già scolpiti. Il suo sguardo trafigge, la sua voce sentenzia, i suoi accenti sibilano. Ascoltandolo siamo ogni volta presi dal desiderio di scongiurarlo: “Senatore, come vede noi pendiamo dalle sue labbra. Deh, non ci lasci cadere”. Poi, a casa, siamo scossi ogni tanto da un riso convulso: è il segno che poco prima abbiamo visto e udito Fanfani.
Noi, lo pensavamo ieri leggendo i giornali, saremmo molto incerti se votare per De Mita o per Sforlani. Certo, non mancano differenze significative tra i due. Il primo, per esempio, è nato nei pressi di Avellino (a Nusco), il secondo a Pesaro, ma, per darvi un’idea di quanto siano monotoni, pensate che hanno visto la luce quasi negli stessi anni, 1928 il primo, 1925 il secondo. Gran Dio, con tante annate comprese in un secolo, proprio così vicine dovevano sceglierle? Poi tutti e due si sono sposati e hanno avuto figli: quattro De Mita, anche perché in provincia ci sono meno distrazioni, e due Sforlani, Pesaro diventando, quando lui la sera si ritira, una città allegra. Tutti e due sono laureati in Legge ed entrambi sono stati ripetute volte ministri, ma sempre (forse per non incontrarsi) in dicasteri diversi. Hanno ricoperto insieme alte cariche di partito, sicché, se la Dc va male, non si può dire chi ne abbia maggior colpa. E infine, per concludere con la monotonia, sia De Mita che Sforlani sono anticraxiani, atei e non si sono mai occupati di politica.
Personalmente noi non crediamo che nello scudocrociato ci sia una sinistra e una destra. Per quel che ci consta, nella Dc ci sono soltanto dei d’accordo, Andreotti, che sta però ai suoi “amici” come Disraeli stava ai suoi colleghi. Si dice che Andreotti non parlerà, e lo comprendiamo: egli non vuole che si capisca con chiarezza che la Dc non sa quello che vuole e non ignora quanto le giovi il paesaggio nebbioso. Tutto sommato, noi voteremmo per De Sforlani.
da Facce da schiaffi di Fortebraccio, Bur 2009.