il Fatto Quotidiano, 2 settembre 2017
Boschi rinnova il Cnel con chi voleva abolirlo
In questi giorni il Fatto ha pubblicato alcuni aforismi di uno dei più talentuosi poligrafi italiani del dopoguerra, Marcello Marchesi. Tra questi, uno dedicato a Giulio Andreotti è perfetto per la storia che andiamo a raccontare: “Chi non muore si risiede”. E infatti, essendo il Cnel ancora in vita, ci si risiede: la cosa bizzarra è che, al termine di qualche mese di trattativa, a farlo siano tutte le associazioni datoriali e qualche sindacato che avevano fatto campagna per il Sì magnificando l’abolizione del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro. Ciliegina sulla torta: il decreto di rinnovo per il quinquennio 2017-2022, che sancisce la rioccupazione di Palazzo Lubin da parte dei soliti noti, porta la firma della sottosegretario di Palazzo Chigi Maria Elena Boschi, cioè l’ex ministro firmatario della riforma che doveva abolire “l’ente più inutile e costoso della storia” (copyright Matteo Renzi).
Breve promemoria. Secondo la Costituzione, il Cnel è l’organo che, riunendo il mondo del lavoro e delle professioni in un unico consiglio, dovrebbe aiutare l’esecutivo a decidere le sue politiche in materia economica e giuslavoristica. Da molti anni, effettivamente, produce poco o niente. Renzi, Boschi & C. usarono l’abolizione del Cnel (8 milioni di risparmi secondo la Ragioneria generale) come se fosse il vero contenuto della riforma: come si sa, gli italiani non gli hanno creduto.
Da allora è successo questo. A maggio il governo Gentiloni nomina presidente del Cnel Tiziano Treu: trattasi dell’ex ministro del Lavoro (quello che ha introdotto i co.co.co. e altre forme di precariato) che ha fatto una convinta campagna per il Sì e firmato un documento per l’abolizione del Cnel. Il 29 agosto arriva il provvedimento firmato Boschi, che “a seguito della complessa ed articolata valutazione degli elementi previsti dalla legge” riconferma tutti, compresi gli abolizionisti più sfegatati, ma si guarda bene dal dare all’ente una nuova missione, un nuovo assetto organizzativo e finanziario.
Confindustria ad esempio, di cui stiamo ancora aspettando le scuse per la bufala del suo Centro Studi sul disastro che sarebbe seguito alla vittoria del No, si tiene i suoi 6 membri nel Cnel; Coldiretti, che raccolse le firme col Pd per consentire a Renzi di scegliersi il quesito del referendum, se ne tiene 2. E a Palazzo Lubin rientrano pure i nominati di Confcommercio, Legacoop, Copagri, Cia, Confartigianato e pure della Cisl, sindacato entusiasta della riforma Boschi.
Particolare di colore. L’unica associazione datoriale schierata per il No al referendum, la piccola Confimprenditori, è rimasta fuori e ora farà ricorso (c’è tempo fino al 30 settembre). Il presidente Stefano Ruvolo, tutto sommato, l’ha presa bene: “Così vanno le cose in Italia e non c’è da stupirsene troppo: ciò che non sono riusciti ad abrogare, si sono preoccupati di occupare”.