Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  settembre 02 Sabato calendario

Ispezioni segrete: indagine sui metodi della Banca d’Italia

Sarà lunga e complessa l’inchiesta sulla Banca d’Italia aperta dal procuratore della Repubblica di Roma Giuseppe Pignatone, soprattutto perché non ha precedenti. C’è stato il caso peculiare del 1979, quando i predecessori di Pignatone colpirono Paolo Baffi e Mario Sarcinelli con un’infondata aggressione giudiziaria. E dodici anni fa, il governatore Antonio Fazio si dimise per le accuse sulle scalate bancarie dei “furbetti del quartierino”. Ma stavolta la magistratura deve affrontare per la prima volta il nucleo centrale del sistema Bankitalia: un potere di vita e di morte su banche e banchieri che non risponde di niente a nessuno. Con due aggravanti.
La prima è che Palazzo Koch è sia arbitro sia giocatore: il governatore Ignazio Visco e i suoi uomini fanno la regia del sistema, raccomandando o vietando acquisizioni e fusioni, mentre esercitano la vigilanza e sanzionano gli altri giocatori. Due esempi: nel 2014, mentre è sotto esame la solidità patrimoniale della Popolare di Vicenza, Bankitalia le vende la sua sede locale, palazzo Repeta; nel gennaio 2017 il suo Fondo di risoluzione vende Etruria, Banca Marche e Carichieti all’Ubi e pochi giorni dopo la vigilanza archivia un procedimento sanzionatorio contro i vertici del gruppo bergamasco. La seconda aggravante è che tutto questo avviene attraverso atti secretati, cosicché il mercato finanziario non è mai in grado di sapere che cosa hanno combinato i banchieri sanzionati, né di giudicare nel merito l’operato della vigilanza. È un sistema che non funziona, e i risultati lo dimostrano. Ma adesso i pm Maria Sabina Calabretta e Stefano Pesci devono capire se il sistema contiene reati.
L’esposto presentato dal banchiere Pietro D’Aguì, fondatore di Banca Intermobiliare (Bim) e suo amministratore delegato fino al 2013, chiede di esaminare in particolare i comportamenti del capo della vigilanza Carmelo Barbagallo e dell’ispettore Emanuele Gatti. Dal 4 luglio al 30 novembre 2012, Gatti ha setacciato la contabilità di Bim. Il risultato è la lettera di Visco del 26 febbraio 2013, con cui il governatore “dispone” la convocazione entro 30 giorni di un cda “che rechi all’ordine del giorno la revoca dei poteri dell’amministratore delegato”. Il memoriale di D’Aguì, secondo il suo avvocato Michele Gentiloni Silveri, contiene “dati idonei a costituire notizie di reato”.
Dietro quella lettera segreta di Visco ci sono fatti che per i magistrati non sarà facile chiarire, visto che il cartellino rosso a D’Aguì è motivato con un linguaggio da comunismo brezneviano: la gestione della banca soffre di “ritardi” e “insufficienze”, “anomalie” e “accentuate anomalie”, “debolezze” e “disfunzioni”. La cifra architrave delle accuse, è sbagliata. D’Aguì è accusato di aver perso “quasi due terzi del patrimonio di vigilanza”: nella semestrale del 30 giugno 2012 era indicato a 435 milioni, Gatti lo rettifica a 157, poco sopra il minimo. Barbagallo approva e Visco sottoscrive. La Bim replica che Gatti ha sbagliato le addizioni e che in realtà il patrimonio di vigilanza è il doppio del minimo regolamentare. Nel bilancio di fine 2012 i successori di D’Aguì fissano il patrimonio di vigilanza a 322 milioni e nessuno li corregge. Ma Bankitalia non corregge nemmeno l’errore suo, che resta seppellito nelle carte secretate.
C’è un altro aspetto che l’esposto segnala ai magistrati. Il 3 dicembre 2013, il Direttorio della Banca d’Italia ha multato D’Aguì per 190 mila euro per le non meglio definite “carenze” riscontrate da Gatti. Nel ricorso in Corte d’Appello, che attende da quattro anni di essere esaminato, e nell’esposto alla Procura D’Aguì segnala l’onnipresenza di Barbagallo. Come capo dell’Ispettorato, approva il rapporto ispettivo di Gatti e avvia la procedura sanzionatoria; poi a febbraio 2013 viene promosso direttore centrale della vigilanza e presiede la commissione per l’esame delle irregolarità; in questa veste approva le tesi che aveva avanzato nel suo precedente mestiere e propone la sanzione.
I magistrati devono verificare se l’ispezione, gestita da Barbagallo e dall’ispettore considerato più fidato, fosse mirata a far fuori dalla Bim D’Aguì, in rotta con Vincenzo Consoli, capo della controllante Veneto Banca. Visco scrive nella lettera di “licenziamento” frasi che andranno studiate, come questa: “Lo stile direzionale dell’amministratore delegato non è risultato improntato a trasparenza nei confronti dell’azionista. Egli non ha dato seguito a talune proposte dei consiglieri…”, cioè degli uomini di Consoli. Si noti che la Bim è una società quotata in Borsa, e adesso scopriamo che il governatore raccomanda riservatamente agli amministratori di una banca quotata di obbedire agli ordini dell’azionista di controllo. Infatti il governatore esplicita la cornice strategica della cacciata di D’Aguì: “Preliminarmente si osserva come la salvaguardia dei canoni di sana e prudente gestione non possa prescindere da un’accelerazione del processo d’integrazione strategica e organizzativa nel gruppo Veneto Banca”. Bim è quotata e Veneto Banca no, ma questo aspetto non rileva a fini dei “canoni” di Visco.
Pochi mesi dopo questa lettera, il 6 novembre 2013 Visco ne scrive un’altra a Veneto Banca sui risultati dell’ispezione con giudizio “in prevalenza sfavorevole”, esattamente come quella a Bim. Dice il governatore che la banca va male (“critico quadro economico-patrimoniale”) e “dovrà perseguire con la massima determinazione l’obiettivo di pervenire, nel più breve tempo possibile, a un’operazione di integrazione con altro intermediario di adeguato standing”, cioè con la Popolare di Vicenza di Gianni Zonin, come verrà specificato a voce. Quindi la strategia della vigilanza per Bim si può così riassumere: per uscire dai problemi patrimoniali e gestionali segnalati da Gatti e Barbagallo attraverso un numero sbagliato, la banca deve cacciare subito D’Aguì e accelerare il “processo d’integrazione” con Veneto Banca che è talmente malmessa da doversi a sua volta integrare “nel più breve tempo possibile” con Zonin.
D’Aguì chiede ai pm di accertare se tutto ciò è avvenuto per insipienza semplice o anche attraverso la commissione di reati.