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 2017  agosto 25 Venerdì calendario

In un frammento di dna tutto lo scibile umano

Poche settimane fa il gruppo di ricerca di George Church ad Harvard ha annunciato di essere riuscito a riprodurre su un normale schermo da computer un’immagine e un video che erano stati precedentemente inseriti nel genoma di un batterio. La tipica sagoma di una mano, simile a quelle dell’arte primitiva rinvenute nelle grotte di tutto il mondo, e il video di un cavallo in corsa del primo ’900 nel genoma di un batterio. Che significa? Un’immaginazione computerizzata non é altro che informazione, convertita in luce sullo schermo.
L’informazione originaria proviene dai fotoni Qe particelle elementari di cui è costituita la luce) riflessi nell’obiettivo della macchina fotografica. Parte di quel segnale luminoso viene poi catturato dalla fotocamera e convertito nei cosiddetti “pixel. I pixel dunque non sono altro che un sistema di immagazzinamento dell’informazione visiva da parte dei computer. E in realtà i pixel sono a loro volta un sistema di codifica defl’informazione di un livello gerarchicamente “superiore”. A loro volta infatti vengono, così come tutto il resto dell’informazione presente nei computer, codificati in “codice binario” materialmente custodito nello scrigno di silicio dell’hardware. Di contro, il genoma di un batterio non è altroché il depositario dell’informazione genetica del batterio stesso. Il materiale per conservare tale informazione è il Dna, a base di carbonio. Si tratta quindi di riuscire a far dialogare due sistemi di immagazzinamento defl’informazione che hanno linguaggi e supporti materiali completamente differenti. Questo è esattamente ciò che hanno fatto i ricercatori guidati da Church, trattando il genoma del batterio in modo non concettualmente diverso da una chiavetta Usb collegata a una stampante e a uno scanner.
• Genomica e Mammut
Si tratta di dimostrazioni fini a se stesse dell’attuale potere dell’umanità sugli altri esseri viventi? Per niente. Church, visionario allievo del premio Nobel per la Chimica Walter Gilbert, è l’emblema del biologo molecolare di successo e uno dei grandi alfieri della biologia “sintetica”. Dal 1997 può essere annoverato tra i principali sviluppatori delle tecniche di editing genomico, compreso il sistema Crispr/Cas9 di cui si parla molto oggi e che lui per primo ha applicato a cellule umane nel 2014. Negli stessi anni ha anche proposto e avviato il progetto di far rivivere il Mammut, estinto ormai da 4.500 anni, sfruttando il Dna conservato nei resti siberiani congelati e l’ingegneria genetica in un elefante moderno. Perché quindi un gigante della scienza simile si diletta di stampanti e scanner a Dna? Per capirlo bisogna fare qualche passo indietro.
• Il Codice dei codici
L’invenzione del moderno codice binario, sul quale si basano tutti gli apparecchi digitali del mondo, è generalmente attribuita a Gottfried Leibniz. Polimata, tra gli architetti del pensiero occidentale moderno, nelle sue incursioni nei campi del sapere orientale si cimentò anche con I Ching, o libro dei mutamenti, il famoso testo cinese di divinazione del X secolo avanti Cristo. Si dice che Leibniz trasse ispirazione proprio da questo tomo per postulare l’idea che ogni numero può essere rappresentato come una successione di cifre “binarie”, 0 oppure 1. In questo sistema, ad esempio, il numero 9 è rappresentato dalla sequenza “1001”, il numero 5 da “101”. Il vantaggio rispetto a un qualsiasi altro sistema di scrittura è che rende possibile rappresentare virtualmente qualsiasi concetto tramite una successione di due soli “stati” (O/l) alternati vi. Nei processori dei computer questi stati alternativi sono voltaggi differenti mentre negli hard disk sono polarità magnetiche opposte. I moderni computer hanno perciò esteso l’idea di Leibniz a qualsiasi lettera o carattere così da consentire una comunicazione con il computer tramite il nostro alfabeto, dove la Stele di Rosetta è il codice binario.
• Lo stesso linguaggio del Dna
Gli esseri viventi hanno preceduto Leibniz di almeno tre miliardi di anni: questa l’età delle prime tracce di vita sulla terra secondo le datazioni radiometriche. Infatti il Dna, il supporto materiale defl’informazione genetica di ogni creatura vivente che cammina o ha camminato nel corso delle ere sul pianeta Terra, sfrutta esattamente lo stesso principio di codifica ipotizzato da Leibniz. Ma invece di essere un codice con due soli stati ne ha quattro, corrispondenti ai quattro “mattoni” essenziali che lo compongono e che noi convenzionalmente identifichiamo con le lettere A, T, G o C. In questo è più simile al codice Morse che di stati ne ha cinque (punto, linea, intervallo breve, medio e lungo). Come per il codice di Leibniz e il codice Morse, per il Dna è la sequenza di lettura che conta. La stretta analogia con il codice binario sui cui si basano i calcolatori moderni ha suggerito rapidamente un uso del Dna come spazio di archiviazione non solo defl’informazione genetica bensì defl’informazione in generale.
• Le origini del progetto
Torniamo ai giorni nostri. Era il 2010, Church era tra il pubblico del simposio internazionale iGEM (International Genetically Engineered Machine) nel quale diversi team di studenti di talento competono per ingegnerizzare esseri viventi (microbi) e trasformarli in macchine in grado di eseguire compiti specifici (come ad esempio la produzione di sostanze utili). In quell’occasione una delle medaglie d’oro fu assegnata ad alcuni studenti di Hong Kong che proponevano dei bio-hard disk. La proposta degli studenti, all’epoca tutta sulla carta, era quella di inserire il testo della Dichiarazione d’indipendenza americana (8.074 caratteri) nel genoma di un batterio. Il loro piano era quello di assegnare ogni lettera dell’alfabeto a un codice quaternario (esempio: C = 3021,1 = 1211, ecc.). In questo modo la parola “Ciao” sarebbe stata codificata così: 3021 1211 1230 2231. Solo due anni dopo, forte della sua esperienza e delle capacità del suo laboratorio all’università di Harvard, Church tradusse in realtà l’idea degli studenti cinesi e la applicò al suo nuovo libro Regenesis (Basic books, NY, 2012) – inizialmente aveva pensato a Moby Dick, ma poi l’ego ha prevalso. Tuttavia, inserire il libro codificato in codice quaternario a Dna afl’interno di un batterio era una sfida ancora fuori portata poiché mancava la capacità di modificare in maniera efficiente il genoma batterico. Era invece tecnicamente possibile produrre brevi catene di Dna e “stamparle“su supporti di vetro e poi leggerle con uno scanner, e così fece Church. Un precedente di questo procedimento era già stato reso noto nel 2009 tramite la rivista Nature da Claes Gustafsson, che con la sua azienda Dna 2.0 aveva inserito una carola natalizia di cinquanta parole nel primo batterio «a sua conoscenza in grado di recitare una poesia». Addirittura nel 1996 Joe Davis aveva stampato un piccolissimo frammento di Dna che codificava per un rettangolo di 35 pixel. Insomma l’idea non è nuova: ma oggi i mezzi per trasformarla in qualcosa di più di una curiosità scientifica sono alla nostra portata.
• Bisogno di spazio
Quello che a prima vista sembra un esercizio velleitario, può ad esempio diventare una soluzione completamente originale per venire incontro alla crescita esponenziale defl’informazione digitale. Una provetta di Dna delle dimensioni di un pollice potrebbe facilmente contenere tutta l’informazione attualmente presente sul world wide web. Tale informazione potrebbe poi essere facilmente replicata e conservata perché il Dna dispone di un efficientissimo sistema di copia, affinato in 3 miliardi di anni evoluzione biologica. Nelle giuste condizioni è anche estremamente resistente e, a differenza degli hard disk di silicio che dopo pochi anni sono da buttare, può conservarsi per migliaia di anni. Il Dna potrebbe dunque diventare la nostra capsula del tempo, per lasciare una traccia indelebile di tutto ciò che come umanità abbiamo conquistato.
• La capsula del tempo
Questo lo pensa anche la Long Now Foundation, nata nell’anno “01996“, con lo scopo sociale di coltivare un pensiero e una responsabilità civile a lungo termine, in un orizzonte temporale di almeno 10.000 anni (tanto che in tutte le loro comunicazioni ufficiali le date sono riportate precedute da uno zero). Il Dna sembra il supporto perfetto per il loro progetto “Rosetta“volto ad archiviare per i posteri, su un supporto resistente alla ruggine del tempo, 1.000 delle 7-000 lingue parlate oggi nel mondo. E nel Dna ci starebbero tranquillamente tutte. Per fare un paragone la versione 2015 in tutte le lingue di Wikipedia che compressa starebbe in un hard disk da 100 GB, in formato Dna occuperebbe lo spazio di una sfera di 6 micron di diametro (un micron corrisponde ad un milionesimo di metro). Centomila copie costerebbero un dollaro mentre usare i blue-rav costerebbe 100.000 volte tanto.
• L’anno della svolta
L’idea di usare organismi viventi, i batteri, come supporto per l’informazione è stata rivitalizzata dai progressi nell’editing genomico. Per oltre un secolo si è creduto che solo gli organismi pluricellulari possedessero un sistema immunitario. Nel 2012 è stata quindi sensazionale la scoperta di Crispr, il sistema immunitario dei batteri che memorizza nel genoma sotto forma di Dna il ricordo dei virus che lo hanno infettato per sconfiggerli in caso di nuova aggressione. Plasmato dall’evoluzione di miliardi di generazioni di batteri nel corso della storia della vita, è certamente molto più efficiente della nostra stampa “su vetro”. Una volta posto sotto controllo, come hanno fatto i ricercatori del gruppo di Church, può essere usato per introdurre qualsiasi informazione arbitrariamente scelta nel genoma batterico. E allora, oltre all’idea più romantica della capsula del tempo, Church non nasconde che in un prossimo futuro è convinto di vedere dei veri e propri e-reader tipo Kindle e iPad sfruttare questa tecnologia della intura. In fondo la vita lo fa già da miliardi di anni.