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 2017  agosto 04 Venerdì calendario

HIV, una guarigione non basta

«Oggi, al congresso, mentre andavo da una sessione all’altra, mi sono sentito chiamare da dietro: “Hey, Guido, how are you?”. Era proprio lui, il nostro Tim, piccolo grande eroe della durissima battaglia contro questo virus che ha distrutto così tante vite. (…) Mi ha confermato che sta bene, grazie a Dio, anzi, benissimo».Cronache dalla conferenza dell’International Aids Society che si è tenuta nei giorni scorsi a Parigi.
A raccontare la storia, sulla sua pagina Facebook pubblica, è Guido Silvestri da qualche mese salito agli onori delle cronache in Italia per le proprie prese di posizioni a favore della scienza nell’estenuante battaglia sui vaccini che si sta combattendo nel nostro Paese e per aver contribuito ad allontanare il Movimento 5 Stelle da posizioni no-vax.
Silvestri, in realtà, è uno dei massimi esperti mondiali nella ricerca sull’Hiv. Da 15 anni è alla Emory University di Atlanta dove dirigeva divisione di Microbiologia e Immunologia in seno al Yerkes National Primate Research Center, uno dei pochi centri al mondo dedicati alla ricerca di base sui primati.Tim, invece, è Timothy Ray Brown. Ed è un’icona sacra nella lotta all’Hiv/Aids: è infatti l’unico paziente al mondo che a oggi è guarito dall’Hiv.
• Un calvario lungo 15 anni
Americano, classe 1966, Timothy Ray Brown si scoprì sieropositivo nel 1995 mentre studiava a Berlino. Come migliaia di pazienti nel mondo, cominciò ad assumere la terapia antiretrovirale che gli consentì di controllare l’Hiv, finché nel 2007 non si trovò di fronte a un’altra terribile diagnosi: leucemia mieloide acuta.
All’Ospedale universitario Charité di Berlino dove Tim viene curato, il team guidato dall’ematologo Gero Hiitter si trova di fronte a un caso particolarmente difficile. I cicli di chemioterapia hanno pesanti effetti e non riescono a debellare il cancro. Dopo sette mesi, infatti, la leucemia torna a bussare alla porta di Tim. A questo punto il team decide di tentare un doppio salto mortale: distruggere completamente con chemio e radioterapia il sistema immunitario impazzito del paziente per poi ricostruirlo con un trapianto di midollo osseo. Ma nella scelta del donatore i medici adottano un espediente: ne selezionano uno immune dall’Hiv. Circa IT per cento della popolazione caucasica è infatti portatore di una mutazione genetica che conferisce protezione dall’infezione: si tratta dell’assenza di una proteina (CCR5) che il virus Hiv usa per entrare nelle cellule.
Tutto sembra procedere per il meglio, salvo per alcuni lievi segni di rigetto. Ma 332 giorni, dopo il trapianto, rfecco la leucemia: nuovi trattamenti per distruggere il sistema immunitario, nuovo tra pianto di midollo dallo stesso donatore immune all’Hiv.
• Una guarigione misteriosa
Finché finalmente, nel febbraio del 2009, il caso clinico di Timothy Ray Brown approda sulle pagine del New England Journal of Medicine: le procedure a cui si era sottoposto non lo avevano soltanto guarito dalla leucemia ma avevano in qualche modo scacciato il virus Hiv dal suo corpo.
In che modo non è ancora completamente chiaro: «È un insieme di fattori», ci spiega Guido Silvestri che tra una sessione e l’altra della conferenza IAS ha trovato il tempo di rispondere via email alle nostre domande.
«L’effetto del trapianto di midollo (che comprende un mix di chemioterapia e radioterapia), l’effetto “allogenico” contro il virus mediato dalle cellule immunitarie che originano dal donatore,e soprattutto, il fatto che le cellule del nuovo midollo non esprimono il recettore CCR5 che è necessario per l’infezione da Hiv».
Fatto sta che da allora la ricerca sta cercando di riproporre i risultati ottenuti su Tim Brown. Finora con scarsi risultati.
• Rinnovate speranze
Tuttavia, nei giorni scorsi a Parigi una piccola ricerca ha riacceso i riflettori su questa strategia.
Maria Salgado, dell’Aids Research Institute IrsiCaixa di Barcellona ha infatti presentato i primi risultati di uno studio che sta osservando in una ventina di pazienti cosa succede quando una persona affetta da Hiv deve subire un trapianto di midollo osseo a causa di un linfoma o di una leucemia. Le stesse condizioni Tim Brown, dunque, e lo stesso percorso clinico.
«In 5 dei 6 pazienti non siamo stati in grado di rilevare il virus nei reservoir», ci spiega Salgado. «I reservoir sono cellule in cui l’Hiv può sopravvivere in maniera latente (come “addormentato’’) durante il trattamento. Se il trattamento viene interrotto, il virus può “svegliarsi” e ricominciare a replicarsi».
Apparentemente, dunque, nei 5 pazienti dello studio il trapianto è riuscito a eliminare la riserva di virus che alimenta la ripresa della malattia. Esattamente come avvenuto per Tim. Ma è realmente così? E possono dirsi guariti?
Purtroppo no, dice la ricercatrice. «Non possiamo dire che questi pazienti sono guariti finché sono in trattamento con antiretrovirali». Nonostante ciò, «osserviamo una riduzione (dell’infezione, ndr) nei reservoir che non abbiamo visto con nessun altro approccio».
Quindi per ora è impossibile parlare del trapianto di midollo come una possibile terapia contro l’Hiv. Non soltanto per l’incertezza sulla sua efficacia. Ma soprattutto per i rischi elevatissimi a cui espone i malati. Le conoscenze che sta fornendo questo approccio, però, «ci possono aiutare a ideare altri interventi medici meno dannosi per i pazienti ma efficaci nell’eliminazione dei reservoir», conclude Salgado.
• Parola d’ordine: celerità
Intanto, un’altra strada sembra consentire di ottenere risultati vicini alla guarigione. E nella fetta della popolazione più fragile all’infezione da Hiv: i bambini che “ereditano” la malattia dalla madre.
Benché l’assunzione della terapia antiretrovirale da parte della mamma e un breve ciclo di trattamento alla nascita possono ridurre quasi a zero il rischio di trasmissione dell’infezione durante la gravidanza, il parto o l’allattamento, circa 170 mila bambini ogni anno nascono con l’Hiv o vengono infettati nelle primissime fasi della loro vita.
Da qualche anno si è osservato che «in alcuni pazienti che sono trattati con farmaci antiretrovirali subito dopo l’inizio dell’infezione da Hiv si può verificare un fenomeno, chiamato “controllo del virus dopo terapia”, che consiste nella assenza di viremia dopo che la terapia viene interrotta», spiega Silvestri.
Come la mela avvelenata di Biancaneve, il trattamento tempestivo sembra in grado di indurre una sorta di sonno del virus che perdura anche quando si sospende l’assunzione dei farmaci.
Nel 2013 fu presentato il caso di una bambina nata in Mississippi nel 2010 (per questo si guadagnò l’appellativo di “Mississippi baby”): era stata curata con farmaci antiretrovirali fin dal primo giorno di vita e nonostante l’interruzione del trattamento intorno al diciottesimo mese di vita, il virus sembrava sparito per i due anni successivi.
Nel 2015 è stata la volta di una bambina francese.
Ora, a Parigi, è stato presentato il caso della terza “Mississippi Baby,” una bambina sudafricana di 9 anni che ha sospeso il trattamento nei primi mesi di vitae non ha tracce dell’infezione da 8 anni e mezzo.
«Questo nuovo caso rafforza la nostra speranza che trattando i bambini positivi all’Hiv per un breve periodo fin dall’infanzia, possiamo evitare loro il peso di unaterapiache deve essere assunta per tutta la vita e le conseguenze nel lungo termine dell’attivazione del sistema immunitario tipicamente associate all’infezione da Hiv», ha detto Anthony Fauci, a capo dell’istituto che si occupa di malattie infettive in seno agli NIH americani.
• Troppo pochi tre casi
Nonostante l’ottimismo e le numerose sperimentazioni cliniche che stanno verificando questo approccio, tre casi sono troppo pochi per cantare vittoria.
E, nel caso delle Mississippi baby così come in quello dei pazienti sottoposti a trapianto di midollo, è impossibile parlare di guarigioni.
La strada sembra però segnata. «La mia opinione è che la “cura” per Hiv e Aids arriverà attraverso una comprensione sempre più completa e dettagliata dei meccanismi che permettono al virus di sopravvivere in forma latente nel corpo umano anche quando la sua replicazione è completamente bloccata dai farmaci antiretrovirali», dice Guido Silvestri. «Per questo abbiamo bisogno di continuare a studiare la virologia e l’immunologia dell’Hiv, usando un mix di esperimenti di biologia cellulare e molecolare in vitro, di studi in vivo sui modelli animali e studi clinici su campioni derivati da pazienti».
Ancora ricerca, insomma. E passione. Come quella che traspare dalla parole di Silvestri quando racconta il suo incontro con Timothy Ray Brown a Parigi: «Ma poi vedo Tim, il simbolo sempre sorridente della nostra missione quotidiana, e vedo le centinaia e centinaia di giovani ricercatori venuti qui da tutto il mondo per mostrare i loro risultati e che si impegnano giorno dopo giorno con tutte le loro energie per accrescere le nostre conoscenze e migliorare la qualità di vita dell’umanità. Allora mi sento ottimista come se avessi 20 anni e dico: “Ce la faremo. Non sarà facile, ci vorrà molto tempo, molto lavoro, moltissime energie, ma alla fine ce la faremo”».