Pagina99, 4 agosto 2017
Il calcio lava più bianco
La storia più bella da precampionato quest’anno ce l’hanno a Modena. Ce Antonio Caliendo, presidente della squadra di calcio, già noto procuratore, contestato dai tifosi e a corto di soldi. Vuole vendere, ma non si trova chi compra.
A un certo punto, entra in un ristorante dove ce un cinese, sconosciuto. Chen Yunlei, barista di Nonantola, viene avvicinato da Caliendo che gli chiede di scattare una foto assieme. Lui acconsente, nello scatto abbozza un sorriso stirato. Tutto può immaginare meno che il giorno dopo finirà sui giornali locali come la prova fotografica dell’esistenza di una fantomatica cordata ìorientale per rilevare il club. Tutto falso, ovviamente, ma cosa non si fa per tenere buoni i tifosi almeno qualche giorno.
Storie rocambolesche e investimenti avventati, nel calcio, ci sono sempre stati. Ma mai come oggi: dalla Serie A alla Promozione, il cartello vendesi impera. E se Chen Yunlei è sicuramente un’ottima e specchiata persona – anche se per nulla interessata a passare dalla professione di barista a imprenditore del football – sulla provenienza dei denari che chi vende accetta per liberarsi delle squadre di calcio è lecito più di un dubbio.
• La parola impronunciabile
Per alcune persone il riciclaggio nel calcio è come il Fight Club. Prima regola: non parlate mai del riciclaggio nel calcio. Seconda regola: nor dovete mai parlare del riciclaggio ne’ calcio italiano.
In Cina, però, a quanto pare la norma non vale. Hanno fatto rumore, così, le parole di Yin Zhongli, ricercatore dell’Accademia di Scienze sociali cinese, intervistato sulla televisione pubblica riguardo agli investiment calcistici all’estero e all’acquisto delPlnter da parte del gruppo Suning «Penso che molte di queste acquisizioni all’estero abbiano unabassa pròbabilità di generare profitti e non si può escludere il sospetto del riciclaggio di denaro». Apriti cielo. Il gruppo Suning ha subito chiarito di volersi muovere nel solco delle indicazioni del governo. Tra l’altro non ce solo l’Inter: il gruppo sta molto investendo nei diritti televisivi e ha recentemente stretto un accordo con Wanda, gruppo cinese a sua volta proprietario di Infront, società svizzera di marketing sportivo con forti influenze pure in Italia.
Anche l’operazione Milan è finita nel mirino: Yonghong Lee è stato definito dal South China Moming Post «un poco sconosciuto uomo d’affari» che si è fatto prestare 300 milioni dal fondo Elliot per chiudere un acquisto da 740. Di Yonghong Lee, qui danoi in Italia, non si sa molto di più.
Tranne il fatto che, pur di comprarsi il Milan e avviare una campagna acquisti milionaria, ha costruito una complessa architettura finanziaria che si traduce – a farla semplice – in una holding lussemburghese, partecipata da altre holding con sede sempre a Lussemburgo (nel caso di Lee) e nel Delaware (fondo Elliott, specializzato in rilevare aziende in crisi), che possiede un’altra società in Lussemburgo che, a sua volta, controlla la società sportiva attraverso un’altra società ancora, sempre nel Lussemburgo.
Andrea Di Biase, giornalista di Calcio e Finanza, ha ricostruito tutta la catena delle partecipazioni e a pagina99 spiega che Yonghong Lee dovrà trovare i soldi per ripagare Elliott, altrimenti la società passerà di mano e il suo regno milanese volgerà al tramonto in un attimo. Dipenderà molto da cosa deciderà il governo della Repubblica Popolare sul tema degli investimenti calcistici all’estero: prima erano benvenuti, ora molto meno perché si teme una gigantesca fuga di capitali. O peggio ancora. Certo è, per quanto riguarda il Milan, che la struttura finanziaria assomiglia molto a un rompicapo dove è difficile ricostruire chi interviene ad ogni livello di quella torta multi-strato che è la nuova proprietà.
• Indagini e processi
Nessuno, fino a prova contraria, può dire che Inter e Milan siano casi di riciclaggio. Ma il fatto che in Cina ci si ponga il problema, dovrebbe lar suonare più di un campanello’ d’allarme nel nostro Paese, semplicemente perché il riciclaggio è una realtà già ben presente.
Un report del 2009 della task force dell’Ocse, Fatf, ha ricostruito i motivi che fanno del calcio un business particolarmente esposto: scarsissime barriere d’entrata, contiguità con ambienti tradizionalmente infiltrati dalla criminalità, come quello delle scommesse. Soprattutto: la totale arbitrarietà nella determinazione dei cartellini di acquisto dei calciatori è un ottimo modo per gonfiare le transazioni in maniera illecita. I proventi da biglietti garantiscono un flusso di denaro, spesso in contanti, difficilmente tracciabile. Le transazioni estero su estero, sempre più numerose specie dopo la direttiva Bolkestein, sono anch’esse difficilmente tracciabili.
L’Italia, poi, ha un problema in più: «Specie nei campionati di livello più basso, il calcio è un’attrazione incredibile per la criminalità organizzata in cerca di accreditamento presso le comunità locali e canali per arrivare alle istituzioni», spiega Pierpaolo Romani, autore di Calcio criminale (Rubettino editore) e consulente della commissione Antimafia.
Il gioco più bello del mondo è diventato ospite fisso delle cronache giudiziarie. Romani, lo scorso febbraio, è stato ascoltato dalla commissione Antimafia e in una relazione di poche pagine ha spiegato le dimensioni del fenomeno e riassunto gli ultimi casi di cronaca. Impossibile citarli tutti.
Nove febbraio: la direzione distrettuale antimafia di Roma dispone il sequestro deU’Ilva Maddalena 1903, campionato di Eccellenza sardo. La squadra sarebbe stata acquistata da esponenti del clan Cordaio diTor Bella Monaca. Ventun gennaio: laprefettura emette un’interdittiva antimafia nei confronti di Città di Foligno 1928, serie D. Il presidente Gianluca Ius era stato arrestato poco prima per un’inchiesta in cui è indagato per riciclaggio, truffa nei confronti dello Stato e altro ancora.
Tre novembre 2016, sequestrata la Polisportiva Laureanese (Promozione, girone B) perché sospettata di essere infiltrata dalla famiglia ’ndranghetista Lamari. Nel suo libro Romani cita decine di casi del genere, ed è impossibile non ricordare la tentata scalata della Lazio da parte del clan dei Casalesi, unavicendain cui, secondo gli inquirenti, sarebbe stato implicato l’ex centravanti Giorgio Chinaglia.
• Bagarini e criminalità
Ma il tema non è solo la proprietà delle squadre. Anche lasciando da parte il settore delle scommesse da quando sono state legalizzate la criminalità continua a gestire il mercato sottobanco, ma allo stesso tempo è infiltrata anche in quello “ufficiale”per motivi di riciclaggio – è impossibile non citare il problema del bagarinaggio.
La triangolazione tra tifoserie, proprietà delle squadre e criminalità organizzata è una bomba a orologeria. Funziona così: le tifoserie or ganizzate, che di fatto hanno fi ostaggio l’ordine pubblico dentro gl stadi, chiedono e talvolta ottengom dalle squadre biglietti per ingress gratuiti, o a prezzi fortemente scon tati, che quindi vengono rivenduti.
I soldi raccolti, fatalmente, pren dono strade poco raccomandabili Se è una storia che avete già sentito, perché tra le squadre sfiorate dalli scandalo c’è anche la Juventus: i presidente Andrea Agnelli è stati deferito perché «non impediva ates serati dirigenti e dipendenti dell Juventus di intrattenere rapport costanti e duraturi con i cosiddett “gruppi ultras”, anche per il tramite con il contributo fattivo di esponent della malavita organizzata».
È sospettato, a tal proposito, d aver incontrato Rocco Dominiello accusato di appartenere alla ’ndran gheta, addebito che lui respinge. Che Rocco Dominiello avesse contatti con la società è invece accertato. Il club si difende sostenendo che fossero ignari di chi Dominiello realmente fosse, essendo questo incensurate ai tempi dei primi contatti.
• Contromisure e nuovi scandali
Diffìcile, di fronte a questa slavim di notizie, far finta di nulla. Il presidente Figc, Carlo Tavecchio, si è dette favorevole a trasformare il bagarinaggio in reato penale. Per acquistare quote sopra il 10% di una squadra d calcio, è necessario il certificato anti mafia. A livello internazionale, la Fifi ha messo fuorilegge da maggio 2015 li Tpo, ovvero le società terze, spesso coi sede in paradisi fiscali, che posseggo no i cartellini dei giocatori e gestisco no le compravendite (ne parliamo nell’approfondimento a pagina 6). M; l’impressione è che si chiudano i cancelli quando i buoi sono già scappati.
New entry – ma sarebbe meglio dire travolgente ritorno – nelle cronache giudiziarie degli ultimi giorni è Massimo Ferrerò, presidente della Sampdoria, già finito nei guai per reat tributari. Secondo l’Espresso, sareb be indagato a Roma per riciclaggii dopo che Bankitalia e la Guardia d Finanzahanno segnalato moviment sospetti tra la squadra di calcio e 1< holding dell’imprenditore cinema tografico (al suo attivo, anche un. collaborazione con Tinto Brass). Sol di del club sarebbero poi finiti anch< alla Livingston, la compagnia are; comprata dall’imprenditore e po fallita. Tra l’altro, pare che Ferren abbia scarsa dimestichezza con i me todi di pagamento elettronico: in ui caso si segnalano versamenti per 15 mila euro in un solo giorno, tutti in banconote da 500 euro.
Quando tre anni fa la blasonata famiglia Garrone, salotto buono genovese, annunciò la vendita del club; Er Viperetta, più di uno fece un salto sulla sedia, non solo perché mentre gli imprenditori genovesi si mostra no in pubblico sempre impeccabili Ferrerò ha un debole per bandane ec esultanze un po’ scomposte (i fotografi lo adorano).
Con quali soldi? Quali garanzie: L’anno dopo si scoprì che i Garrone pur di liberarsi della squadra di calcio si sono fatti garanti dei debiti anche pergli anni a venire, per diverse decine di milioni di euro. In parte lo sono ancora adesso, storia che ad alcuni appare un po’ incomprensibile.
Tornato recentemente allo stadio, l’ex presidente Edoardo Garrone ha detto però di essere “sereno”. Ferrero è la persona giusta per la Sampdoria, a suo dire: «Pur senza la solidità economica della nostra famiglia è pragmatico e entusiasta», ha detto. Soprattutto entusiasta.
Se Atene piange, Sparta non ride. In visita a Genova a fine luglio, il deputato della commissione Antimafia Marco Di Lello ha dichiarato che la vendita dell’altro club cittadino, il Genoa, da parte di Enrico Preziosi è «sotto osservazione».
Uomo chiave dell’operazione da 120 milioni di euro, insieme all’imprenditore Fabrizio Bertola, è Giulio Gallazzi, consigliere Carige. L’acquisto della squadra avverrebbe attraverso tre fondi: Sri Group (che fa capo a Gallazzi) ed Erskine Capital e Hamilton Venture. Chi c’è dietro a questi fondi? Il sito Businesslnsider, quando ha provato a studiare un po’ meglio la faccenda, ha scoperto che Erskine capitai fa capo per il 75% a una manager legata allo stesso Gallazzi. Hamilton Venture, invece, condivide con Sri sede a Londra e numero di telefono ed è controllata da Gustavo Perrotta, ex banchiere di Credit Suisse, attraverso la scatola Islitl Limited con sede alla Isole Vergini Britanniche. Un bel mal di testa.
Beniamino Anseimi, che sarà il presidente della squadra se l’affare andrà in porto – nel frattempo è tutto slittato a settembre – ha già dichiarato che il suo Genoa sarà «una casa di vetro». Vedremo. Cange, intanto, si è affrettata a far sapere che loro nell’operazione non centrano niente.
• Il fascino del Lussemburgo
Le architetture finanziarie ardite dominano nelle proprietà delle squadre di calcio, tra affari conclusi e altri sfumati all’ultimo minuto. Nessuna evidenza di atti illeciti, in alcuni casi, ma certo un bel po’ di vicende ingarbugliate.
A Vicenza è stato firmato un accordo preliminare con cui i vecchi proprietari della squadra di calcio dovrebbero cedere il club a investitori arabi attivi nel settore ospedaliero e cliniche di bellezza. Frontman dell’operazione è un ingegnere di Saranno, Francesco Pioppi, Ceo della Genetica Medicai Clinic, con sede a Dubai, e che fa capo alla famiglia Al Mazroui.
Presentandosi ai giornalisti, Pioppi ha spiegato che l’investimento sarà fatto attraverso una società d’investimenti con sede in Lussemburgo, la Boreas capitai, «partecipata e controllata dalla I.G.S. Holding con sede a Dubai». Di questa partecipazione, tuttavia, non c’t traccia nei documenti ufficiali: la Bo reas capitai, creata a febbraio, al momento ha un capitale di 12 mila euro soldi tutti versati da Pioppi.
La Boroas capital ha invece sede alle stesso indirizzo di Eos Funds, che esprime un amministratore nella per sona di Sabrina Colantonio e che fa rife rimento a un gruppo specializzato nella gestione di fondi con un focus sulle energie pulite (Eos Im), con sede a Londra e il cui fondatore è Ciro Mongillo Raggiunto al telefono, Pioppi spieg; che l’investimento previsto nella squa dra di calcio è di 7-8 milioni di euro in un triennio con l’obiettivo di tornare in serie B. Lo stesso gruppo investirà 70 milioni nella riqualificazione di un hotel ad Abano Terme per trasformarlo in un centro di medicina sportiva riabilitativa. L’impegno sul Vicenza farebbe parte della stessa partita. Rispetto a Boreas, Pioppi sostiene che la I.G.S. Holding – che non ha un sito web perché è una semplice holding per controllare altre proprietà, spiega – entrerà in un secondo momento, quando l’affare verrà concluso. Se adesso lui è presente come unico azionista è perché la holding è stata creata così «per una questione di praticità». Eos Funds, invece, «in questo progetto non c’entra nulla». Sabrina Colantonio, raggiunta al telefono, conferma: il suo ruolo in Boreas è di fatto di pura consulenza, le attività di Boreas sono del tutto indipendenti da Eos, spiega. Stesso indirizzo, ma uffici separati. Per sapere chi investirà in Boreas, bisogna chiedere a Pioppi, dice. L’affare, comunque, deve ancora essere chiuso: vedremo come questa storia andrà a finire.
Nel calcio, si sa, fino a quando non si arriva alla stretta di mano finale può succedere di tutto. Ne sanno qualcosa a Palermo, dove Maurizio Zamparini aveva trovato un accordo preliminare per cedere la squadra a un fondo anglo-americano, Integras Capital, fondato e rappresentato da Paul Baccaglini, noto ai più come ex giornalista delle Iene. Per qualche mese del Palermo Baccaglini ha anche fatto il presidente, ma poi l’accordo non è stato chiuso e Zamparini, per dirla tutta, non l’ha presa troppo bene: ora vuole capire se ai suoi danni è stata fatta una truffa. Già sapere chi erano gli altri investitori insieme a Baccaglini, sarebbe molto.